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Strana
storia, quasi "avventurosa", quella della Montreal. Tutto
nacque da una sfida lanciata dagli organizzatori dell'Esposizione
Mondiale di Montreal (Canada) del 1967 all'Alfa Romeo e al
carrozziere Nuccio Bertone, una sfida racchiusa in poche parole:
"Una vettura che soddisfi la maggior aspirazione raggiungibile
da un uomo in fatto di automobili". Bertone non tardò a dare
la propria risposta: preparò infatti per quella memorabile Expo il
prototipo di una coupé "due posti più due" dalla linea
personalissima e di rara bellezza, ammiratissima da tutti e
marchiata Alfa Romeo. Furono in molti a trattenere il fiato quando
si sollevarono i teli che la nascondevano alla vista: era stupenda,
bellissima ed avveniristica, ma anche concreta e razionale, priva
cioè di tutte quelle soluzioni estetiche sorprendenti quanto
irrealizzabili e fini a sé stesse che spesso caratterizzano i tanti
prototipi presentati al pubblico dalle Case per motivi pubblicitari
e poi lasciati in soffitta. Quella vettura, battezzata ovviamente
"Montreal", fece nascere una ridda di ipotesi tra gli
appassionati e gli addetti ai lavori: tutti pronosticavano per lei
il ruolo di una nuova sportiva con motore 1600 cc derivata dalla
Giulia. Ma l'Alfa Romeo, in realtà, si spinse oltre, trapiantando
su quello splendido guscio il motore della 33 da competizione,
lasciato quasi inalterato. Questo, però, non accadde subito: prima
che alla Montreal venisse dato un motore, passarono tre lunghi anni,
i quali però non erano passati invano. In quel periodo, infatti,
numerose Montreal camuffate continuavano a girare sulla pista
privata di Balocco e alcune osavano addirittura immergersi nel
traffico delle strade del nord, puntualmente immortalate dai
cacciatori di immagini segrete per le riviste specializzate che ne
davano sempre notizie via via più particolareggiate. La vettura
apparve in veste definitiva al Salone di Ginevra del 1970, ma
soltanto l'anno dopo (nel 1971) ne fu realmente intrapresa la
produzione. Proprio questa lunga gestazione fu il motivo del suo
insuccesso commerciale: la Montreal, si disse, era nata già
vecchia. Rimase in produzione sino al 1977, ma ne furono fabbricati
meno di quattromila esemplari. Ma guardiamola da vicino, la
Montreal.
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La
linea era decisamente inconsueta: la grinta delle sue forme
traspariva dalla calandra con i fari per metà ricoperti da una
palpebra grigliata mobile che si ribaltava non appena si accendevano
le luci di posizione.
Oggi,
un simile dispositivo sarebbe improponibile anche su vetture di alta
gamma, vista la sua grande complessità e il grande spazio richiesto
dagli elementi che lo componevano: il movimento delle coperture dei
fari era affidato ad un attuatore pneumatico, alloggiato nella parte
laterale del vano motore. In pratica, sulla sinistra del vano motore
era presente un grande contenitore nero in lamiera collegato ai
collettori di aspirazione.
Questo
elemento, sfruttando la depressione generata dal funzionamento del
motore, al pari del servofreno, consentiva l'azione del sistema di
occultamento dei fari anteriori, sistema che si serviva anche
di due piccoli cilindri collocati, all'interno del vano motore,
dietro i fari stessi.
Grazie
a questo ingegnoso ma complesso meccanismo, era possibile azionare i
fari anche con il propulsore spento, fino a molte ore dopo il suo
spegnimento. Al centro del cofano motore c'era poi una finta presa
d'aria dinamica "Naca", mentre la fiancata era
caratterizzata da un profilo cromato e dal massiccio montante
posteriore con sei grandi feritoie orizzontali.
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Particolarmente
moderno il portellone posteriore in cristallo. Come già accennato,
dal punto di vista stilistico, il più grande problema della
Montreal fu quello di essere nata già "vecchia". Scriveva
Quattroruote, alla voce "esterno", nella sua prova su
strada (agosto 1972): "La carrozzeria della Montreal avverte il
passare del tempo. La Montreal venne disegnata nel 1967: a distanza
di 5 anni, il suo "styling" ci sembra criticabile. La
disposizione dei volumi è però ottima: la Montreal, vista
lateralmente, appare slanciata e ostenta una notevole grinta
sportiva. Nel resto è un po' carica, soprattutto nel frontale: la
calandra molto elaborata, il paraurti che costituisce motivo
stilistico, il pesante scudetto Alfa e le palpebre coprifari mobili
ci sono sembrati stilisticamente molto criticabili. Al centro dello
spazioso cofano anteriore c'è una grande presa d'aria Naca (finta)
che non giova certo all'estetica. Lateralmente, è caratteristico il
taglio della portiera e dei cristalli laterali, sfuggenti verso
l'alto. Elemento stilistico tipicamente vistoso della Montreal sono
le sei feritoie molto ampie sul montante, alcune delle quali servono
per aerare l'abitacolo. Piuttosto massiccio il montante posteriore,
che limita decisamente la visibilità laterale della vettura. Altri
elementi caratteristici della Montreal: le ruote in lega leggera
(molto belle), il profilo metallico che praticamente taglia in due
longitudinalmente la fiancata, l'ampia zona sottoportiera dipinta in
nero. La coda è decisamente tronca con un ampio lunotto
incernierato superiormente: ribaltandolo si accede al piccolo
bagagliaio. Anche la parte posteriore è troppo elaborata: avremmo
preferito motivi stilistici più semplici e meno cromature. A parte
tali riserve, però del tutto soggettive, bisogna riconoscere alla
Montreal una grinta sportiva e anche una vistosità molte volte
gradita al pubblico. Contribuisce alla vistosità della Montreal una
gamma di colori veramente squillante, cosicché è difficile passare
inosservati quando la si guida. Non indifferenti le sue dimensioni,
soprattutto se si considera che si tratta in effetti di una due
posti: è lunga infatti 4,220 metri ed è larga 1,670 metri.
Piuttosto elevata anche l'altezza (per una coupé sportiva): 1,205
metri. In definitiva, un'automobile stilisticamente un po' pesante
che però con una oculata pulizia potrebbe diventare una delle
migliori rappresentanti della categoria." Un giudizio poco
tenero, quindi, su cui però influiva senza dubbio la vetustà del
disegno iniziale, poco consono alle tendenze stilistiche che stavano
iniziando a diffondersi verso la metà degli anni Settanta. Oggi, le
linee della Montreal si prendono la loro bella rivincita: ne sono
prova i giudizi sempre entusiasti delle riviste d'auto storiche.
Seduti al posto di guida, ci si trovava perfettamente a proprio
agio, come su tutte le Alfa Romeo: il volante era formato da una
corona in legno e da tre razze in metallo, con conformazione a
calice; il sedile era ben profilato e avvolgente, i comandi
imponevano una posizione sdraiata (con gambe allungate e braccia
semi-distese), comoda nella guida sportiva anche esasperata.
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Tuttavia,
anche a giudizio di Quattroruote, la Montreal sembrava costruita
tenendo presenti le esigenze dei guidatori di bassa e media statura:
i più alti, infatti, a causa del volante un po' troppo basso,
spesso toccavano con le gambe la sua corona. Continuava
Quattroruote: "La pedaliera, poi, è un po' alta e non permette
di tenere i piedi in modo da effettuare bene il punta-tacco. Ottima,
invece, la leva del cambio: i cambi di marcia si effettuano con
molta facilità senza spostarsi dal sedile". Inutile
soffermarsi sull'abitabilità dei sedili posteriori, soprattutto se
i sedili anteriori erano in posizione completamente arretrata: la
Montreal era omologata come coupé 2 posti più 2 di fortuna; in
effetti, si trattava quasi di una 2 posti, perché dietro era
possibile alloggiare appena due bambini... Con buona volontà e
molto spirito di adattamento, una terza persona adulta poteva starvi
disponendosi trasversalmente, ma, oltre a stare scomoda, rischiava
di toccare con la testa contro le cerniere del lunotto posteriore.
Stavano invece molto bene gli occupanti dei due sedili anteriori, i
quali, benché non molto imbottiti, trattenevano abbastanza bene e
permettevano di affrontare i viaggi con tranquillità. Piuttosto
insufficiente lo spazio al soffitto: le persone di alta statura
toccavano con una certa facilità il padiglione con la testa. Quattroruote
non gradì molto il disegno della plancia (soprattutto nella zona
strumentazione), giudicato troppo complicato e non molto riuscito e
funzionale.
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Molto
apprezzati, invece, la consolle centrale e soprattutto i comandi:
sia quelli del piantone del volante che gli altri (sulla consolle
centrale) si raggiungevano con molta facilità e si azionavano senza
troppi spostamenti dal sedile. Sulla sinistra (sul piantone del
volante) c'erano le due solite leve per le segnalazioni luminose
(luci, lampeggio, devioluci e frecce), mentre sulla destra (sulla
consolle) trovavano spazio 6 pulsanti: tergicristallo a due velocità,
trombe a due tonalità, due interruttori per vetri elettrici (a
richiesta, come anche il condizionatore) e altri due pulsanti per
illuminare l'interno e gli strumenti. Più in basso, sempre sulla
consolle centrale, venivano poi ospitati il pulsante di azionamento
del lunotto termico, l'accendisigari e il gruppo
riscaldamento-aerazione con elettroventilatore a due velocità.
Numerosi erano i ripostigli per riporre piccoli oggetti sulla
plancia: uno molto piccolo alla sinistra del pilota, uno più ampio
di fronte al passeggero e infine, nel sottoplancia, un cassetto con
sportello.
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Molto
completa la strumentazione, dal disegno inconsueto e raccolta in due
grossi cruscotti circolari di fronte al pilota: oltre al tachimetro
(con anche i contachilometri totale e parziale) e al
contagiri, erano presenti pure il termometro dell'acqua, il
termometro dell'olio, il manometro dell'olio, l'amperometro,
l'indicatore del livello della benzina, l'orologio. A questi
strumenti principali si aggiungevano 6 spie: luci accese, fari
abbaglianti e riserva carburante nel cruscotto di sinistra;
ventilatore, freno a mano inserito e bassa pressione
dell'alimentazione nel cruscotto di destra. Altre due spie (frecce e
livello liquido freni) erano piazzate al centro tra i due cruscotti.
Particolarmente originali il tachimetro e il contagiri: le cifre che
indicavano la velocità e il numero di giri erano prive degli zeri:
la scala del tachimetro, infatti, partiva da 2 per arrivare a 26
(indicando rispettivamente 20 e 260 Km/h), mentre il contagiri aveva
una scala da 0 a 9 (da 0 a 9000 giri), con zona rossa a 7200
giri/min.
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Sotto
il profilo della finitura, così si esprimeva Quattroruote:
"Molti dei particolari della Montreal sono ben curati, come si
addice a una vettura di questo prezzo. Altri risentono un po' del
tipo particolare di questa produzione in piccola serie e, quindi,
qualche particolare non è all'altezza della meccanica della
vettura. Ottimo il rivestimento dei sedili e delle portiere;
abbastanza curato l'abitacolo. Anche qui notiamo però una certa
pesantezza nel disegno e in alcuni particolari." Passiamo
adesso ad esaminare gli aspetti tecnici di questa Alfa.
Come
già accennato all'inizio, il propulsore della Montreal adottava un
basamento direttamente derivato da quello dei motori utilizzati per
l'Alfa 33 prototipo, con canne riportate in umido; l'Alfa Romeo non
prevedeva la rettifica dei cilindri, ma la completa sostituzione di
cilindri e pistoni. Si trattava di un 8 cilindri a V di 90°
superquadro di 2593 cc (84 x 64 mm).
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La potenza massima erogata era
pari a 200 cv DIN (230 cv SAE) a 6500 giri/min., con una potenza
specifica di 88 cv/litro (SAE). La coppia massima erogata era di
27,5 Kgm (SAE) a 4750 giri/min. Il propulsore era realizzato
completamente in lega leggera, con distribuzione a 4 alberi a camme
in testa comandati da catena e con impianto di iniezione indiretta.
La pompa di iniezione meccanica del carburante (di tipo indiretto,
appunto) utilizzava due moduli Spica, pensati per i
propulsori a 4 cilindri; il sistema prendeva il moto dalla bancata
destra del motore, in corrispondenza dell'albero a camme di
aspirazione, tramite un semplice sistema di pulegge e cinghie
dentate.
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La
pompa di iniezione meccanica Spica, dotata di pistoncini ed altri
accoppiamenti a strisciamento, doveva essere alimentata con
carburante filtrato alla perfezione. A tale scopo, veniva adottato
un gruppo filtrante Fispa, dotato di sensore di pressione in uscita,
necessario a controllare il corretto funzionamento delle due pompe
elettriche a rulli che prelevavano la benzina dal serbatoio.
L'accensione
elettronica a scarica capacitiva era affidata ad uno spinterogeno in
grado di servire tutti gli 8 cilindri; le bobine, invece, erano due,
pensate per servire quattro cilindri ciascuna.
L'impianto
di accensione utilizzava due centraline elettroniche, impiegate per
generare una maggiore potenza delle scintille e ottenere la giusta
durata delle stesse.
In
caso di guasto, le norme di uso e manutenzione riportavano i
collegamenti di emergenza per potere proseguire la marcia fino ad un
concessionario Alfa Romeo. Il propulsore aspirava tramite un grande
cassoncino in metallo, comprendente il sistema filtrante e i
tromboncini.
L'alta
potenza erogata necessitava di un volume di plenum di grandi
dimensioni e i tecnici Alfa Romeo utilizzarono tutto lo spazio
disponibile nel vano motore. Il sistema era costituito da due
elementi in carta alloggiati alle estremità del cassoncino; l'aria
veniva aspirata lateralmente, attraverso due condotti che la
prelevavano nella zona anteriore dell'auto, dove la pressione
aerodinamica era maggiore.
I
tromboncini erano di forma cilindrica con una piccola parte conica
finale, secondo i canoni fluidodinamici dell'epoca. La pompa di
iniezione meccanica, poi, non consentiva di ottenere una
carburazione corretta al variare della temperatura aspirata dal
propulsore: per questo motivo, agendo su una apposita levetta
graduata (alloggiata sul fianco sinistro del cassoncino
d'aspirazione), era possibile ottenere un buon comportamento
selezionando temperature inferiori a 0° C oppure temperature
comprese tra 0° C e 15° C oppure ancora temperature superiori a 15°
C.
La
lubrificazione era forzata a carter secco, con serbatoio olio di 8
litri (nell'immagine che segue) e radiatore.
Le
bielle erano in acciaio al tungsteno, le valvole erano a V con
camera di scoppio emisferica, con candela al centro di ogni cilindro
e con condotti di aspirazione e iniettori a monte delle valvole di
aspirazione. Il cambio era uno ZF a 5 rapporti tutti sincronizzati
(con prima marcia da selezionare spostando la leva in basso a
sinistra), con differenziale autobloccante (al 25%) a lamelle
(anch'esso di tipo ZF).
Nello
spaccato sottostante si possono riconoscere i dischi di frizione,
gli ingranaggi satelliti e planetari, oltre ai due manicotti
scorrevoli dotati di rampe inclinate, che generano il bloccaggio
delle lamelle.
La
generosa coppia fornita dal propulsore richiese l'utilizzo di
pneumatici maggiorati, montati su cerchi in lega leggera da 14"
e canale da 6,5"; la misura adottata per le ruote fornite di
serie, sebbene oggi possa far sorridere, risultava notevole per
l'epoca, con 195 mm di larghezza e un rapporto di ribassamento del
70% (erano, quindi, delle 195/70/14).
Il
sistema di scarico adottava due pregevoli collettori di tipo "4
in 1", seguiti successivamente da tre silenziatori montati in
serie, con le due linee di tubi che rimanevano separati sino ai due
terminali posteriori.
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Le
sospensioni seguivano lo schema della 1750 e della 2000. All'avantreno
trovavamo uno schema a ruote indipendenti dotato di doppi bracci
trasversali che realizzavano un sistema a quadrilateri deformabili;
tra la scocca e i bracci inferiori lavoravano le molle elicoidali a
passo fisso e gli ammortizzatori idraulici telescopici a doppio
effetto, montati in modo non coassiale tra loro. Questi ultimi,
regolati per un comportamento di compromesso tra confort e sportività,
prevedevano una taratura, misurata alle alte velocità di
azionamento, pari a 55-80 Kg in modalità di compressione e 150-190
Kg in estensione; alle basse velocità di azionamento, il carico
previsto in compressione risultava pari a 9-22 Kg, mentre in
estensione si misuravano 25-55 Kg di carico. Le molle montate in
questo asse risultavano differenti per il lato sinistro rispetto al
destro e presentavano una lunghezza statica senza carico pari a 355
mm (lato destro) e 345 mm (lato sinistro), con una rigidezza di
circa 70 Kg/cm. Da ricordare, però, che questi elementi erano
montati a metà del braccio inferiore trasversale, per cui la
rigidezza effettiva che si avvertiva alle ruote risultava legata al
braccio di funzionamento. L'azione della sospensione era completata
dalla presenza di una barra stabilizzatrice trasversale, adottata
per garantire una migliore stabilità in curva; il movimento dei
bracci era limitato dall'azione di robusti tamponi di fine-corsa,
indispensabili per salvaguardare l'integrità degli ammortizzatori e
degli snodi di collegamento. La regolazione dell'assetto anteriore
prevedeva una convergenza (misurata tra i cerchi) pari a 3 mm ed una
inclinazione di camber (sempre misurata tra i cerchi) compresa tra
-1 mm e +5 mm. In altre parole, l'Alfa Romeo prevedeva una
regolazione di campanatura compresa tra il parallelismo delle ruote
(che risultano quindi pressoché verticali) ed una debole
inclinazione negativa, pari a circa 1° e capace di migliorare
l'aderenza del pneumatico a carcassa radiale in curva. Da segnalare,
tra l'altro, che la carrozzeria era dotata di spoiler anteriore per
migliorare l'aderenza all'avantreno alle alte velocità. La
sospensione posteriore utilizzava lo schema a ponte rigido ed era
dotata di due bracci longitudinali di collegamento alla scocca, di
triangolo di reazione superiore e di barra trasversale antirollio.
In questo caso, le molle e gli ammortizzatori erano montati in modo
coassiale ed erano corredati da tamponi di fine-corsa superiore e
bandella elastica, in grado di limitare la corsa di estensione. Le
molle elicoidali presentavano un'altezza scarica pari a 467 mm e una
rigidezza di 16 Kg/cm. Gli ammortizzatori montati in questo asse
adottavano una taratura leggermente differente rispetto all'asse
anteriore: alle alte velocità si sviluppavano 50-80 Kg in
compressione e 135-190 Kg in estensione; alle basse velocità si
osservavano 9-22 Kg in compressione e 19-55 Kg in estensione.
L'impianto frenante era costituito da 4 dischi autoventilati di
uguali dimensioni, con spessore pari a 19 mm e diametro di 254 mm;
le pinze delle quattro ruote erano del tipo a due pompanti,
comandate da un circuito doppio (asse anteriore-asse posteriore) e
collegate ad una pompa "tandem" dotata di servofreno.
Nell'immagine sottostante è possibile notare (sulla sinistra) la
pompa di tipo tandem e il servofreno e anche (sulla destra) la pompa
di azionamento della frizione idraulica.
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L'asse
posteriore era corredato di limitatore di frenata a taratura fissa,
imposta dalla Casa madre; non era prevista la possibilità di
modificare tale regolazione per cambiare la ripartizione della
frenata sui due assi. Il freno a mano era costituito da due piccoli
tamburi, che utilizzavano come superficie di attrito la parte
interna della flangia di fissaggio dei dischi posteriori;
l'azionamento di questo complesso era totalmente meccanico e dotato
di comando costituito da cavi e tiranti. Infine, il peso complessivo
in ordine di marcia era di 1270 Kg. Prestazionalmente
parlando, Quattroruote rilevò una velocità massima di 224,076 Km/h
(a fronte dei 220 Km/h dichiarati dalla Casa), con uno scatto da 0 a
100 Km/h in 7,1 secondi e un'accelerazione sul chilometro con
partenza da fermo in 27,562 secondi (velocità d'uscita: 192, 719
Km/h). Ma analizziamo il comportamento su strada di questa bella
Alfa.
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Contrariamente
a quanto si potrebbe immaginare (viste le sue origini corsaiole), il
propulsore V8 della Montreal mostrava un buon comportamento anche a
basso regime. Si trattava di un propulsore che privilegiava
nettamente la disponibilità di un'erogazione fluida rispetto alla
"cattiveria" richiesta alle vetture da gara per le quali
era nato, rivelandosi così adatto ad una guida rilassata anche ad
elevata andatura. In quinta marcia, a poco più di 1000 giri, era
rotondo e bilanciato come un motore elettrico. Merito soprattutto
della perfetta carburazione affidata all'impianto di iniezione
indiretta Spica. In partenza da fermo, affondando con decisione il
pedale dell'acceleratore, l'ago del contagiri schizzava in alto ed
era possibile "scaricare" tutte le marce con estrema
rapidità. I cinque rapporti erano ben spaziati: la prima superava i
70 Km/h, la seconda arrivava a 115, la terza sfiorava i 160, e in
quarta si arrivava a 200 in un batter d'occhio. Con la quinta,
l'indicatore si stabilizzava ad un soffio dai 225 Km/h e il
contagiri avvertiva di essere già in zona rossa. Come già
detto, Quattroruote provò la Montreal nell'agosto del 1972. Ecco le
parole usate in quell'occasione: "Dopo pochi chilometri al
volante della Montreal, ci si accorge delle straordinarie qualità
del V8 dell'Alfa Romeo: pronto e potente ad ogni regime, ha
un'eccezionale coppia motrice, tanto che si può andare con facilità
anche in quinta marcia a bassa velocità: infatti, già a 1500 giri
il motore rivela le sue ottime doti di flessibilità. Ci piacerebbe
solo che un motore di tali qualità (tanta potenza e tanta elasticità)
fosse montato su una berlina o su una coupé quattro posti con
carrozzeria meno sportiva e quindi destinata a un pubblico più
vasto. Siamo sicuri che un'automobile di questo genere avrebbe poche
rivali nel mercato delle 3 litri europee. Piacevole ad ogni
regime la rumorosità, caratteristica degli 8 cilindri a V, che
anche ad alti regimi non raggiunge livelli molto fastidiosi.
Naturale che con un motore di tale qualità le prestazioni devono
essere ottime. La velocità massima ottenuta è stata di 224, 076
Km/h (superiore a quella dichiarata dalla Casa): la si raggiunge con
facilità perché si arriva rapidamente ai regimi più elevati;
inoltre, la si può mantenere a lungo sui percorsi autostradali.
Anche l'accelerazione è quale si conviene alle migliori sportive.
Il chilometro con partenza da fermo è stato percorso in 27,562
secondi e i 400 metri in 15,104 secondi: in soli 7,1 secondi si è
già a 100 all'ora. La grande elasticità della Montreal, l'ottima
carburazione, la felice scelta dei rapporti, sono messe in evidenza
dal tempo ottenuto nella ripresa sul chilometro con partenza da 40
Km/h: 34,308 secondi, un tempo che pochissime automobili di
cilindrata superiore hanno saputo eguagliare. Altrettanto buono il
tempo ottenuto in quarta: 31,467 secondi. Il consumo si mantiene
contenuto alle basse e medie velocità; cresce ovviamente quando si
vogliono le massime prestazioni; ma anche alle velocità più
elevate non raggiunge valori eccessivi: viaggiando ad andature
sostenute, infatti, si arriva a consumi di 13-15 litri per 100
chilometri: tirando al massimo in autostrada, si arriva a 22-24
litri per 100 chilometri. Il cambio della ZF adattato alla Montreal
risponde perfettamente alle caratteristiche del motore: ha innesti
brevi e veloci, e solo nell'inserimento della prima marcia si
avverte qualche impuntamento. Ottime le velocità che si possono
ottenere. La prima si può tirare sino a 72 Km/h, la seconda sino a
115 Km/h; con la terza si arriva quasi a 160 Km/h, risultati
difficilmente ottenibili da altre macchine. Buono anche il
funzionamento della frizione, nonostante sia sottoposta a un motore
di tanta potenza, e solo quando si scarica tutta la potenza si hanno
leggeri accenni di pattinamento. Normale lo sforzo richiesto dal
pedale (15 Kg). Buono anche il funzionamento dei freni, del tipo
ventilato, che solo se sollecitati molto a fondo alle massime
prestazioni manifestano qualche lieve segno di indebolimento nel
funzionamento. Nell'uso normale della vettura rispondono in pieno.
Buoni gli spazi di frenata a tutte le velocità; nessun bloccaggio
delle ruote posteriori, neppure nelle frenate improvvise ad
altissima velocità. Lo sterzo, dell'ottimo tipo a circolazione di
sfere, già sperimentato su altre Alfa Romeo, si adatta molto bene
alle altre caratteristiche della Montreal: leggero in manovra,
malgrado il peso della vettura e le dimensioni delle ruote, diventa
preciso alle velocità più elevate e soprattutto non tradisce mai,
neppure nelle curve più impegnative; pronto e diretto, ha anche
ottime caratteristiche di ritorno. Il confort della Montreal,
ovviamente per due persone, è ottimo soprattutto sui percorsi con
fondo buono; sullo sconnesso si avverte invece qualche scuotimento
trasversale del ponte, che può essere fastidioso, pur non influendo
sulla tenuta di strada. Contenuta, per una sportiva, la rumorosità
del motore, che solo alle massime velocità disturba i passeggeri.
La tenuta di strada è un'altra delle doti stradali della Montreal:
innanzitutto permette anche ai piloti meno esperti di ottenere buoni
risultati in tutta tranquillità, grazie alla sua facilità di
guida. Anche il più raffinato e sperimentato dei guidatori, però,
ne apprezza le ottime doti di sportività. Con la Montreal, le curva
più veloci si possono affrontare in tutta sicurezza: il
comportamento in curva è nettamente sottosterzante (la vettura, cioè,
punta verso l'esterno), ma quando si entra troppo forte è
sufficiente lasciare il pedale del gas, accennare ad un lieve
controsterzo e quindi dare gas per rimettersi facilmente sulla
traiettoria ideale: tale manovra può essere effettuata anche dal
pilota meno smaliziato. L'ottimo comportamento del differenziale
autobloccante e la forte coppia motrice del motore e conseguente
maggior potere direttivo del retrotreno contribuiscono molto alla
buona riuscita di queste manovre. Notevole il rollio del corpo
vettura in curva, e a nostro parere andrebbe un po' ridotto. Sul
bagnato si marcia sorprendentemente bene, malgrado la disposizione
tradizionale della meccanica e la molta potenza a disposizione:
merito anche delle buone doti dei pneumatici. In definitiva, quindi,
la Montreal ci ha entusiasmato per le qualità del suo motore e per
la facilità di guida: tali doti sono state confermate dalle nostre
rivelazioni, anche nella prova in salita, dove la Montreal ha dato
tempi eccellenti, tra i migliori registrati."
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Una
splendida auto, insomma, che forse aveva un solo difetto: l'essere
stata lanciata in un momento storico (fatto di crisi energetica e
prezzi della benzina alla stelle) che non ha saputo interpretarla
come avrebbe meritato.
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Chiudiamo
questo Speciale col ricordo di una prova un po' particolare, di cui
la Montreal fu la protagonista e il cui resoconto venne pubblicato
sul numero di luglio 1972 di Quattroruote: andare da Reggio Calabria
al Mar Baltico, nell'estremo nord della Germania, senza mai
fermarsi. La Montreal di Quattroruote portò a termine questa prova
percorrendo 2574 Km in 20 ore alla media di 130 Km/h (comprese le
soste per i rifornimenti e gli spuntini), coprendo mediamente 5,6 Km
con un litro di benzina (17,812 litri per 100 Km) e consumando
complessivamente 458,5 litri di carburante. Un risultato oggi
impossibile, sia a causa del traffico intenso, sia per i limiti di
velocità che all'epoca non erano ancora in vigore in Italia.
Riportiamo qui di seguito alcuni significativi brani del
"diario" di quell'avventura vissuta attraverso una rete
autostradale ancora giovane.
"...Dopo
un breve esame delle Gran Turismo veloci presenti sul mercato (la
categoria di vetture più adatta ad un test del genere), la scelta
cadde sulla Montreal; la più grossa sportiva dell'Alfa Romeo
sembrava rispondere benissimo agli scopi del nostro viaggio: potente
(200 cv DIN) e veloce quanto basta (220 Km/h), era in grado di
offrire quelle caratteristiche di comodità richieste da un percorso
del genere, che era pur sempre di 2500 Km. Era importante che la
vettura presentasse spiccate doti di confort per permettere ai
passeggeri di affrontare questa traversata in condizioni tali da non
arrivare stanchi morti alla meta. La Montreal, inoltre, è una delle
Gran Turismo più interessanti per gli sportivi e di recente
introduzione sul mercato (pubblicheremo presto la nostra
prova)."
"...Cominciamo
da Reggio Calabria il nostro piccolo "raid". E' la punta
estrema della rete autostradale della Penisola.
La
"picchiata" su Reggio Calabria offre un panorama
decisamente emozionante: rocce a strapiombo sul mare di un blu
intenso. Reggio Calabria è di fronte, vicinissima allo stretto,
percorso da decine di navi. Si parte quando ormai è sera.
L'autostrada nel primo tratto scorre via veloce, il traffico a
quest'ora è poco intenso, e il tachimetro è sempre sui 200 Km/h,
con il contagiri che si stabilizza attorno ai 6200 giri/min. E' una
breve volata, però, perché si deve uscire dall'autostrada per
immettersi nel tratto medio di raccordo (una decina di chilometri),
una stradina stretta tutte curve che consente medie di poco
superiori ai 50 Km/h. Rientriamo poi sull'autostrada per riprendere
la nostra puntata veloce verso il Nord."
"...Il
tratto appenninico da Firenze a Bologna è uno dei percorsi classici
per gli automobilisti appassionati che sanno bene come i lunghi e
ampi curvoni permettono di valutare con esattezza la tenuta di
strada e perciò la sicurezza delle automobili sulle curve veloci.
E' proprio su queste curve che capisci quanto valga la Montreal.
Nelle curve veloci passate a più di 160, e con quei colpi di vento
micidiali per una vettura già impegnata a mantenere l'aderenza con
il terreno, la Montreal dimostra quelle eccellenti caratteristiche
di tenuta di strada che sono tipiche delle Alfa Romeo e che si
apprezzano ancor più su una macchina che pesa quasi 13 quintali. Ci
avviciniamo decisamente al Nord e a Bologna abbandoniamo
l'Autostrada del Sole per imboccare la Bologna-Padova, che ci porterà
poi al Brennero e quindi a lasciare l'Italia.
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Proprio
su questo lungo tratto, praticamente tutto diritto, e che quindi
invita maggiormente al ragionamento, ci accorgiamo delle molte
qualità del motore a 8 cilindri a V. Ha proprio quelle doti che uno
sportivo richiede all'automobile. E' potente (200 cv DIN a 6500
giri/min.) ma anche elastico e silenzioso. Raggiunge facilmente i
200 all'ora, che si possono mantenere senza problemi perché il
rumore non è mai troppo forte. La guida non è affatto impegnativa
e non ci si accorge della velocità se non per la rapidità con cui
si avvicinano le macchine che si vogliono sorpassare."
"...Ed
ecco che siamo già a Kufstein, al confine tra Austria e Germania.
La Montreal è guardatissima: in Germania, il nome Alfa Romeo gode
di un grande prestigio."
"...La
Montreal continua ad essere ammirata da molti automobilisti che
incontriamo. In Germania, patria di famose automobili sportive di
grossa cilindrata (mercedes, bmw, porsche), si ha una grande
ammirazione per le Alfa Romeo, e una vettura come la Montreal, con
le sue doti meccaniche e con una carrozzeria che certo non può
passare inosservata, sembra fatta apposta per piacere ai tedeschi:
ce ne accorgiamo, quando li sorpassiamo, dall'interesse e a volte
anche dall'entusiasmo che riusciamo a leggere sui loro visi."
"...Qualche
volta, poi, la Montreal ha dimostrato di saper perdonare qualche
eccessiva disinvoltura di guida. Ci è capitato, infatti, di abusare
delle sue qualità e siamo entrati un po' troppo forte in curva.
Sono bastate però alcune semplici manovre (breve staccata dal
pedale dell'acceleratore, piccolo colpo di sterzo e un'accelerata)
per cancellare ogni ombra di perplessità e di pericolo."
"...E
così in 160 Km si arriva rapidamente a Norimberga, anch'essa centro
economico dell'Alta Baviera. La strada è bella ma sempre piena di
traffico e purtroppo bisogna fare i conti anche col tempo che c'è
in questa stagione: capriccioso, è un alternarsi continuo di
rovesci d'acqua e di qualche raggio di sole che, comunque, tende a
farci moderare la velocità. La Montreal, tuttavia, tiene bene anche
sul bagnato e c'è l'autobloccante che contribuisce a rendere più
sicura l'andatura. Ma ci sono sempre 200 cv alle ruote, dei quali
bisogna pur tener conto."
"...Ormai
siamo quasi alla fine del nostro viaggio. Non facciamo in tempo ad
abbandonare Gottingen che già ci troviamo sulla strada per Lubecca,
meta del nostro viaggio. I chilometri ormai passano veloci. E'
un'altra delle qualità della Montreal, quella di divorare
chilometri e di annullare quasi per incanto distanze che sulla carta
sembrano interminabili. Vediamo finalmente il Mar Baltico e Lubecca, il
più importante porto tedesco su questo mare, dove attraverso
l'ampio estuario del fiume Trave anche le grosse navi riescono ad
attraccare. Siamo così arrivati alla fine della nostra passeggiata
all'estremo lembo della Germania in poco più di 20 ore. Meno di un
giorno."
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La
Montreal: la rivista AutoTecnica l'ha definita "un'astronave ad
otto cilindri". Noi preferiamo continuare a considerarla una
semplice automobile, perché sono le automobili, quelle marchiate
dal Biscione, che noi portiamo nel cuore. Sì, vogliamo che resti
un'automobile. Con un V8 di ieri che sembra di domani. Tutto questo
era la Montreal. Tutto questo è Alfa Romeo.
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