Premessa.
Quando
si parla dell'uso dell'azoto nel gonfiaggio dei pneumatici, si
rischia sempre di essere costretti a schierarsi su due diverse
posizioni tra loro alternative. Vi sono, da un lato, coloro che
ne negano nel modo più assoluto qualunque reale utilità pratica;
vi sono, dall'altro, quelli che invece ne sostengono ad oltranza i
benefici derivanti dal suo utilizzo. Come spesso accade, non sempre
è facile capire quale delle due posizioni sia la più corretta. Noi
ci proviamo, cercando di mettere ordine sulle motivazioni che
sostengono entrambe.
Favorevoli...
Innanzitutto,
quali sono i vantaggi che operatori e aziende produttrici di
generatori di azoto attribuiscono al suo utilizzo nelle gomme? Si
tratta, soprattutto, di vantaggi in termini di sicurezza di marcia.
Un
primo beneficio riguarderebbe la
pressione del pneumatico che, grazie proprio alle caratteristiche
specifiche dell'azoto, dovrebbe rimanere costante per un periodo di
tempo tre volte superiore rispetto a quanto normalmente avviene
usando la normale aria: ciò porterebbe ad una riduzione dei
controlli periodici, ad un minor consumo del battistrada e ad un
conseguente allungamento della vita del pneumatico. Una corretta
pressione permetterebbe, tra l'altro, anche di ridurre al massimo la
resistenza al rotolamento del pneumatico (con una conseguente, sia
pure lieve, riduzione dei consumi di carburante).
Un
secondo vantaggio deriverebbe dalle caratteristiche di gas inerte
proprie dell'azoto: in base a ciò, questo gas dovrebbe tendere a
mantenere costante la sua pressione al variare della temperatura dei
pneumatici durante il loro utilizzo. Nella pratica, questo dovrebbe
voler dire che, nonostante le variazioni di temperatura che
avvengono in un pneumatico durante il suo normale impiego, la
pressione iniziale verrebbe a rimanere praticamente costante anche a
pneumatico caldo. Sarebbe proprio questa la caratteristica
dell'azoto che avrebbe favorito la diffusione dell'uso di questo
sistema di gonfiaggio dei pneumatici nelle competizioni
automobilistiche (a tutti i livelli); infatti, nella guida sportiva,
una pressione costante garantirebbe un comportamento dinamico più
regolare del pneumatico, con conseguenti miglioramenti in termini di
costanza delle sue prestazioni nell'arco della gara. E anche nella
normale guida su strada, una pressione costante al salire della
temperatura eviterebbe qualsiasi rischio di scoppio dovuto a
surriscaldamento (riducendo di molto anche il rischio di esplosione
del pneumatico nel caso esso sia già danneggiato nella sua stessa
struttura): infatti, la
temperatura a cui viene sottoposto, durante il suo utilizzo, il
pneumatico gonfiato con aria favorirebbe - tramite l'ossigeno - una
combustione spontanea che potrebbe quindi portare all'esplosione
della gomma stessa. Un
terzo vantaggio, inoltre, consisterebbe nella maggiore
salvaguardia delle valvole, del pneumatico e del cerchio dal
naturale processo di ossidazione generato dall'umidità e
dall'ossigeno contenuti nella normale aria compressa immessa nel
pneumatico. Infatti, se l'aria è composta per il 78% di azoto, per
il 20% di ossigeno, per l'1% di anidride carbonica e per un altro 1%
da vari altri gas, la miscela a base di azoto utilizzata nel
gonfiaggio di pneumatici è invece completamente priva di ossigeno e
vapore d'acqua: si eviterebbero così gli svantaggi appena citati.
Ciò, ovviamente, a tutto vantaggio della sicurezza di marcia. Inoltre,
nel gonfiaggio con la comune aria compressa, anche l'inevitabile
immissione di piccole quantità di vapori d'olio contenuti nei
circuiti di lubrificazione dei compressori usati per questa
operazione favorirebbe l'invecchiamento della gomma determinando -
con l'aiuto dell'ossigeno e del vapore d'acqua - anche la formazione
di miscele infiammabili. I compressori d'aria, poi, trasferirebbero
all'interno del pneumatico umidità, che sarebbe anche causa di
sbalzi di pressione con conseguenze sull'integrità del pneumatico
e, in definitiva, sulla sicurezza di guida.
Infine,
una nota ecologista: pneumatici meglio conservati potrebbero (al
termine del loro ciclo vitale) essere poi ricostruiti in maggior
numero, con immaginabili vantaggi in termini di riduzione della
produzione di questo genere di rifiuti.
...O contrari?
Parlando
dei vantaggi, abbiamo sempre usato il condizionale, proprio in
ossequio al fatto, accennato all'inizio, che in realtà è molto
difficile distinguere la teoria dalla pratica, i benefici teorici da
quelli concretamente riscontrabili nell'uso quotidiano dell'azoto.
Ed altrettanto difficile è capire chi, tra sostenitori e scettici,
abbia realmente ragione. Ma, a questo punto è bene domandarsi quali
sono i motivi che conducono molti a dubitare della reale efficacia
di questo sistema di gonfiaggio dei pneumatici. Ebbene, l'uso
dell'azoto per gonfiare le gomme sarebbe irrilevante dal punto di
vista delle prestazioni, dell'usura e del confort, anche perché -
si sostiene - l'aria è già naturalmente composta per il 78% di
azoto, quindi fare "il pieno" delle gomme con la normale
aria compressa sarebbe pressoché equivalente al gonfiaggio con
azoto. Ma, tra l'altro, sarebbero false - sempre secondo i
detrattori - le stesse premesse di chi sostiene l'uso dell'azoto.
In
primo luogo, non sarebbe vero che la pressione sia mantenuta stabile
più a lungo nel tempo: le perdite (dovute alla porosità del
pneumatico, alla valvola e al cerchietto) sono le medesime e
dipenderebbero dalla qualità della copertura e della ruota, non dal
gas utilizzato. Ma scendiamo nel dettaglio. Sempre riguardo
alla considerazione secondo cui
l'azoto manterrebbe costante più a lungo nel tempo la sua pressione
in quanto sfuggirebbe meno - rispetto all'ossigeno - attraverso il
pneumatico (permeabilità),
ci
sarebbe da tenere presente che ambedue le molecole dei gas in
questione hanno una grandezza relativamente grande, tale da non
permettere alle molecole stesse di sfuggire attraverso il corpo del
pneumatico; e comunque, se anche questo discorso valesse unicamente
per l'aria e non per l'azoto, varrebbe la pena sottolineare che il
raggio molecolare dell'azoto è di 1.8A, quello dell'aria è di 1.7A:
quindi, la grandezza
è praticamente identica. Come
se non bastasse, qualcuno fa anche notare che vari anni fa i
pneumatici delle biciclette da pista venivano gonfiati con un gas
(l'elio) caratterizzato da molecole di grandezza inferiore (1.4A) e
ad una pressione ben 4 volte maggiore di quella adottata nei
pneumatici per auto (12 atmosfere delle biciclette contro le meno di
3 delle automobili): eppure, nonostante ciò, non si sarebbe
riscontrato nessun problema di permeabilità e perdita di pressione.
In
sostanza, dunque, non sarebbe la permeabilità dell'aria sul
pneumatico a determinare le perdite di pressione all'interno di
esso, ma ben più comuni problemi di sfiati meccanici, come una non
perfetta tenuta delle valvole, una non perfetta tenuta dei cerchi
oltre ovviamente a buche, asperità del terreno e quant'altro possa
influenzare le
ruote nel loro uso quotidiano.
Non è un caso - si afferma - se nel
gonfiaggio con azoto vengono sostituite pure le valvole comuni a
vantaggio di altre speciali con guarnizione metallica (di gran lunga
più efficaci), la cui tenuta però non verrebbe controdimostrata a
favore dell'aria gonfiando i pneumatici muniti di tali valvole con
quest'ultima.
Ma
non è finita qui. Infatti, un'altra
considerazione che viene fatta per quanto riguarda la questione
della permeabilità è quella che usando la normale aria compressa,
al momento del gonfiaggio sottoposta ad una forte pressione di
immissione, si dovrebbe a rigor di logica verificare sempre al
momento del gonfiaccio - essendo l'aria naturalmente composta per il
78% da azoto - l'espulsione fuori dalle pareti del pneumatico di
quel 22% di ossigeno, anidride carbonica ed altri gas che è
presente nella normale aria, di fatto gonfiando la ruota con il solo
azoto. Volendo comunque anche
accettare la considerazione che l'uso dell'azoto comporti per più
lungo tempo - rispetto alla normale aria compressa - un mantenimento
costante della pressione, non si potrebbe però prescindere dal
valutare cosa accade nell'ipotesi di una trasformazione isocora (cioè,
a volume costante) del gas in questione. La
legge di Boyle si può esprimere secondo la seguente formula:
(P1
V1) / T1 = (P2 V2) / T2
in
cui P1, V1 e T1 indicano
rispettivamente la pressione (atm),
il volume e la temperatura (°k,
scala kelvin) del gas ad un primo stadio della trasformazione,
mentre P2,
V2 e T2 indicano rispettivamente pressione, volume e temperatura del
gas ad uno stadio successivo. Mantenendo
il volume costante (V = cost), si ottiene:
P1
/ T1 = P2 / T2
Ebbene,
applichiamo concretamente tale principio secondo il quale, quindi, a
volume costante il rapporto tra pressione e temperatura rimane
sempre costante. Effettuiamo il
gonfiaggio dei pneumatici quando fa molto caldo (per esempio, in
estate), ad una temperatura ipotetica di 35 °C (che espressi in °k
fanno 308°k) e ad una pressione di 2,50 atm: anche se non si
dovesse verificare la più piccola perdita di gas, ci accorgeremmo -
effettuando in inverno il rilevamento della stessa con una
temperatura ipotetica di 0 °C (273°k) - che la pressione dei
pneumatici sarebbe inevitabilmente di 2,25 atm.
Già
questo mette in evidenza come non è vero che l'azoto mantenga per
natura la sua pressione costante: in 4 mesi, infatti, la pressione
può calare visibilmente. E, considerato il fatto che 0,25 atm è un
valore piuttosto influente sui 2,25 totali ai fini delle prestazioni
e della sicurezza di guida,
non sarebbe comunque affatto corretto affermare che con l'azoto non
sarebbe necessario controllare frequentemente e sistematicamente la
pressione dei
pneumatici. Veniamo
poi al vantaggio della maggiore salvaguardia delle valvole,
del pneumatico e del cerchio dal naturale processo di ossidazione
generato dall'umidità e dall'ossigeno contenuti nella normale aria
compressa immessa nel pneumatico. Con
riguardo alla questione principale che interessa prettamente il
pneumatico, si sostiene che al di là del fatto che - in ogni
caso - la piccola percentuale di umidità presente nell'aria non
sarebbe in grado di danneggiare le cinture e la carcassa se non
forse in tempi lunghissimi (ben superiori alla durata del pneumatico
stesso), affermazioni del genere avrebbero comunque senso solo se
vivessimo nel 1973. E'
di quell'anno infatti una pubblicazione dal titolo
"Chimica", scritta da Quagliano e
Vallarino
ed edita dalla Piccin Editore, in cui si legge a pagina 647:
"La vita dei pneumatici può essere notevolmente allungata
gonfiandoli con azoto invece che con aria. In questo modo si
previene la corrosione ossidativa delle pareti interne della gomma
da parte dell'ossigeno alle alte temperature e pressioni che
normalmente si sviluppano nei pneumatici sotto sforzo." Ora -
si fa notare - già in un'altra pubblicazione dal
titolo "Chimica organica" del 1990, scritta da Vollhardt
ed
edita da Zanichelli, alla pagina 600 si può leggere: "La
gomma sintetica... Il 2-cloro-1, il 3-butadiene, può essere
polimerizzato in un composto elastico resistente al calore e
all'ossigeno, composto che viene detto neoprene...".
Insomma,
dal 1973 la ricerca, lo sviluppo e le tecniche
di
produzione e di composizione dei materiali con cui vengono oggi
costruiti i nostri pneumatici avrebbero fatto dei tali passi in
avanti che già nel 1990 questi problemi non erano più attuali.
E per le stesse ragioni vengono fatte
obiezioni anche alle tesi che pure i vapori d'olio dei compressori
danneggerebbero le pareti interne del pneumatico, problema comunque
questo alquanto marginale per gli stessi sostenitori dell'uso
dell'azoto. Per
quanto riguarda poi l'altro aspetto delle possibili ossidazioni,
vale a dire quelle che interesserebbero cerchioni e valvole, si
obietta più semplicemente che tra le cause di sostituzione di
pneumatici e cerchi ci sono il consumo, il taglio, lo scoppio e la
foratura del pneumatico o ancora il danneggiamento fisico del
cerchione che poi va a coinvolgere anche il deterioramento del
pneumatico, ma mai a nessuno si sarebbe visto costretto a cambiare
cerchio e valvole perché "ossidati".
Per
quanto riguarda infine il vantaggio derivante dalle
caratteristiche di gas inerte proprie dell'azoto - in base alle
quali questo gas, a differenza dell'aria, dovrebbe tendere a
mantenere costante la sua pressione al variare della temperatura dei
pneumatici durante il loro utilizzo (contribuendo così ad evitare
qualsiasi rischio di scoppio dovuto a surriscaldamento e riducendo
di molto anche il rischio di esplosione del pneumatico nel caso esso
sia già danneggiato nella sua stessa struttura) - si sostiene che
in linea di massima si tratta di un'affermazione corretta; rimarrebbe
però da stabilire in quale misura l'azoto si comporta in maniera
differente rispetto all'aria sotto questo particolare aspetto e con
quali vantaggi reali. A tal proposito, gli scettici fanno
riferimento alla formula dell'equazione di stato dei gas reali
elaborata da
Van Der Waals.
In questa equazione, le costanti facenti parte dei termini
correttivi sono per l'azoto
a
= 1.35 atm (I/mole)2
b
= 0.0383 I/mole
mentre
sono per l'aria
a
= 1.32 atm (I/mole)2
b
= 0.0322 I/mole
Dunque,
si tratterebbe di termini correttivi dai valori dalla differenza
(tra azoto e aria) ridottissima e che varierebbero la pressione dei
due gas di misure assolutamente insignificanti. Non solo!
Essendo
l'aria comune composta già per un suo 78% da azoto, la variazione
della pressione in funzione della temperatura andrebbe a modificarsi
solo per il suo restante 22%, rendendo di fatto praticamente nulla
qualsiasi differenza tra i due gas sotto questo punto di vista.
Il
discorso cambierebbe radicalmente sui pneumatici destinati alle
competizioni, ma per ragioni ben più importanti e complesse che
l'automobilista comune non si troverà mai ad affrontare per i
pneumatici della propria auto, anche se destinata ad una guida
prettamente sportiva o se lanciata a grandi velocità in autostrada.
Vediamo di capire meglio il perché di questa affermazione. Tutto
dipenderebbe dal fatto che l'azoto ha - rispetto alla normale aria -
un comportamento più lineare, in quanto privo di umidità. E
sarebbe proprio questo il motivo motivo per cui l'azoto trova
applicazione nelle competizioni più estreme, laddove il mezzo
decimo di bar in più o in meno può far cambiare notevolmente il
comportamento dell'auto. Ma - attenzione! - questo utilizzo non
sarebbe dovuto alla tanto pubblicizzata capacità intrinseca
dell'azoto di variare meno la pressione, scaldandosi; piuttosto,
esso sarebbe dovuto al fatto che, senza umidità, gli aumenti di
pressione dovuti alla temperatura sono più prevedibili. Le
gomme da competizione raggiungono e superano temperature dell'ordine
di 130°C, valori impensabili nel caso dell'utilizzo (anche estremo)
di normali gomme stradali. L'umidità atmosferica è acqua allo
stato liquido in sospensione e quindi, gonfiando le gomme con aria
comune, si immette dentro il pneumatico anche l'acqua in
sospensione. Già questo pone un grosso problema di
indeterminazione, poiché l'umidità atmosferica (e quindi la
quantità di acqua in sospensione nell'aria) è una quantità che
varia di giorno in giorno. Ma non basta. L'umidità relativa
dell'aria indica il rapporto fra la pressione parziale del vapore
d'acqua nell'aria e la tensione di vapore che avrebbe l'acqua alla
stessa temperatura. Così, a 25 °C la tensione di vapore dell'acqua
è di 24 torr; se l'umidità è del 75% vuole dire che la pressione
parziale dell'acqua è di 24×0.75=18 torr. Il grosso problema nasce
dal fatto che, aumentando la temperatura, aumenta la tensione di
vapore dell'acqua e, conseguentemente, la sua pressione parziale. Le
cose sono ulteriormente complicate dal fatto che la tensione di
vapore dell'acqua ha un comportamento non lineare. A 60 °C ha
ancora solo 150 torr di pressione parziale (0.2 atm), a 80 °C ha
355 torr (poco meno di 0.5 atm), poi a 100 °C fa il salto ed arriva
a 760 torr (1 atm). A 134 °C addirittura la tensione di vapore è
di circa 1500 torr (2 atm). Ecco spiegato come mai in Formula 1 è
indispensabile togliere l'umidità: per sapere a che pressione
avremmo le gomme a caldo. Al contrario, sulle nostre auto
cambierebbe poco o nulla. Infatti, gonfiando a freddo (25 °C) le
nostre gomme a una pressione iniziale di 2 bar, con un'umidità
relativa del 75%, abbiamo la pressione parziale dell'acqua di 18
torr (0.02 atm). In pratica, di quelle 2 atm, praticamente nulla sarà
dovuto alla parte di umidità che passa allo stato di vapore. Se
l'umidità fosse del 40%, la pressione parziale dell'acqua sarebbe
0.01 atm, ovvero non rileveremmo differenza. A 60°C, le gomme
gonfiate con gas anidro (cioè, un gas non contenente vapore
d'acqua) avranno una pressione di 2.23 atm; quelle gonfiate con aria
al 75% di umidità relativa, saranno invece a 2.23+0.2×0.75=2.38
atm: è razionalmente pensabile che la vita di un'automobilista non
cambi avendo 2.38 atm piuttosto che 2.23 a caldo. Se poi l'aria
atmosferica avesse avuto il 40% di umidità relativa, a 60°C le
gomme sarebbero a 2.3 atm: restano tutte differenze pressoché
irrisorie. In queste condizioni, capiamo come avere nei pneumatici
una miscela di gas inerti (ma soprattutto anidri) oppure dell'aria
comune faccia ben poca differenza. Arrivati a 80°C (ma quante gomme
da strada arrivano a queste temperature?) la differenza comincia già
a farsi sentire: le gomme con azoto sono a 2.37 atm, quelle con la
nostra aria atmosferica al 75% di umidità saranno a 2.37+0.5×0.75=2.74
atm, quelle con l'aria al 40% di umidità sono a 2.56 atm. La
differenza diventa tangibile. A 130°C (valori esclusivamente
toccati da gomme da competizione) le cose cambiano radicalmente. Con
gas anidro (come l'azoto, appunto) i pneumatici arrivano a 2.70 atm,
con aria al 40% di umidità sarebbero a 3.5 atm, con l'aria umida al
75% sarebbero arrivate a 4.45. Come si vede, la percentuale di
umidità dell'aria modifica in modo drastico la pressione delle
gomme: trovarsele a 4.5 piuttosto che 2.7 è una differenza
spaventosa. Tutto questo porta ad una semplice conclusione: senza
conoscere l'esatta umidità dell'aria con la quale si sono gonfiate
le gomme, non si ha modo di sapere la pressione che queste
raggiungeranno durante l'utilizzo. Eliminare il vapor d'acqua,
elimina quindi un grossissimo fattore d’imprevedibilità. Ma, lo
si ribadisce, la cosa ha un suo reale significato solo con
pneumatici che durante l'uso raggiungono temperature infinitamente
superiori a quelle raggiunte dalle gomme delle normali auto
stradali. E' però bene dire che anche gli scettici ammettono
che è vero, invece, che l'azoto viene usato per gonfiare le gomme
degli aerei; al momento dell'atterraggio, infatti, lo stress
meccanico può provocarne lo scoppio e in questo caso è
effettivamente preferibile che all'interno del pneumatico sia
presente un gas inerte piuttosto che una miscela ossigenata. Ma - si
afferma - si tratta di un evento, per fortuna, quasi inesistente nel
mondo dell'auto. Infine,
chi è scettico sulla reale utilità dell'azoto nei pneumatici pone
l'accento anche su una nota curiosa. Quando
i pneumatici vengono gonfiati per la prima volta con azoto, questi
andrebbero prima portati in sottovuoto, per eliminare quella
naturale pressione atmosferica pari ad 1 atm presente nelle gomme. Domanda:
ma i gommisti effettuano questa operazione? La
risposta secondo i detrattori di questa pratica è no; per cui,
quando il pneumatico viene gonfiato, in realtà nello stesso sarebbe
già presente una miscela naturale di aria, ossigeno, anidride
carbonica ed altri gas che di fatto renderebbe vana qualunque
presunta miglior caratteristica dell'azoto, andandolo a mischiare
con aria comune.
Conclusioni.
In
definitiva, chi si dichiara scettico in merito all'utilità dell'uso
dell'azoto nelle gomme lo fa sostenendo la necessità di dover
sempre distinguere tra i vantaggi teorici (su cui insiste largamente
la pubblicità) e quelli effettivamente percepibili e fruibili dagli
automobilisti. Limitandosi esclusivamente alla teoria, è vero che
gonfiando le gomme con il solo azoto le perdite di pressione nel
tempo si riducono. In pratica, però, i pneumatici sono progettati
per garantire a lungo il mantenimento del corretto gonfiaggio con
l'aria e se si manifestano cali, essi sono dovuti a difetti nella
tenuta della valvola o del cerchio e si verificherebbero pure con
l'azoto. Allo stesso modo, l'invecchiamento dei materiali è in
certi casi più ridotto con l'azoto, anche per via della mancanza di
umidità, ma tale processo ha tempi così lunghi che gli effetti
dannosi si manifestano solo dopo molti anni e nel normale impiego
non si notano differenze tra gonfiaggio ad aria e gonfiaggio ad
azoto. Peraltro, va ricordato che un buon compressore d'aria è
normalmente dotato di filtri e di separatori per la condensa che
consentono di erogare aria secca. Infine, in linea teorica è vero
che - rispetto all'aria - l'azoto ha minori variazioni di pressione
in funzione della temperatura, ma nell'impiego normale dell'auto le
differenze che si possono rilevare tra due pneumatici, uno gonfiato
con l'azoto e l'altro con aria, sono assolutamente trascurabili. Per
tutti questi motivi, si potrebbe dunque concludere, l'impiego
dell'azoto nelle gomme nelle gomme non è certo dannoso, ma non
apporta vantaggi apprezzabili da parte degli automobilisti. Tra
l'altro, è verissimo che alcune case produttrici di pneumatici
consigliano l'uso dell'azoto, ma tali consigli sono comunque
circoscritti al settore dei veicoli industriali e per movimento
terra.
Tempi e costi.
Infine,
per coloro che decidessero di ricorrere all'azoto per gonfiare le
gomme della propria auto, un brevissimo cenno ai tempi e ai costi
dell'operazione. Gonfiare i pneumatici con azoto richiede tempi
rapidissimi (equivalenti a quelli di un normale gonfiaggio con
aria); la spesa è abbastanza contenuta: in media, ci si limita ad
una decina di euro o poco più.
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