Premessa.
A
partire dai primi anni Novanta, diverse aziende si sono affacciate
sul difficile mercato degli additivi per lubrificanti, ma soltanto
una piccola parte di queste ha festeggiato il nuovo millennio,
nonostante quello chimico sia uno dei settori industriali in
maggiore crescita, forse grazie a prodotti realmente validi,
realizzati in regime di qualità noto ed univoco (ISO 9002, ISO
9001) ed approvati da enti super partes. Si tratta di un argomento
interessante ma, allo stesso tempo, complesso e delicato da
trattare. In primo luogo, è indispensabile circoscrivere la nostra
analisi per scoprire innanzitutto cosa si intende per additivo,
quali sono le sue funzioni e capire come utilizzarlo.
Additivi: cosa sono?
Gli
additivi sono composti chimici che vanno aggiunti (da questo il nome
"additivi") a prodotti base per migliorarne determinate
caratteristiche. Nel mondo della lubrificazione, esistono numerosi
additivi utilizzati per ottimizzare le caratteristiche dei
lubrificanti stessi in base al loro specifico impiego. I più
conosciuti sono gli additivi antischiuma, antiossidanti, detergenti,
disperdenti, anticorrosivi e antiruggine, correttori di viscosità,
antiusura per alte pressioni e promotori di scorrevolezza. Ogni olio
lubrificante contiene già all'origine una percentuale di questi
composti chimici.
Quelli
di cui parleremo in questo articolo sono i cosiddetti riduttori di
attrito ed antiusura per alte pressioni (EP, abbreviazione di
Extreme Pressure, pressione estrema).
Gli
additivi al lavoro. Le
proprietà attribuite a questi prodotti sono numerosissime:
riduzione degli attriti e dell'usura con conseguente incremento
della potenza del motore e della coppia, abbassamento delle
temperature di esercizio del lubrificante e del motore, diminuzione
della rumorosità, riduzione dei consumi di carburante, permanenza
di un velo d'olio anche a freddo per facilitare il primo avviamento
e ridurre la forte usura generata proprio nelle prime fasi in cui il
motore è in moto. In sintesi, ci si prefigge di incrementare la
costanza di tenuta del film lubrificante con l'aumentare della
gravità del lavoro, per carico, pressione d'esercizio o per range
di temperature maggiori e/o minori. A molti additivi è attribuita
un'attrazione polare, ovvero la capacità di aderire alle superfici
in attrito tale da generare una pellicola lubrificante più
resistente all'usura anche in condizioni critiche di funzionamento
del motore. L'antesignano
dei lubrificanti polarizzati è stato il ricino, apprezzato per le
eccellenti caratteristiche di adesione al metallo (la molecola di
ricino è un dipolo elettrico che si comporta come una sorta di
calamita), ma caduto in disuso (non nei due tempi da competizione,
dove è ancora molto apprezzato) per la grande quantità di morchie
e residui gommosi lasciati nel motore. Oggi,
oltre alle molecole di cloro e di fluoro, esistono alcuni nuovi
lubrificanti sintetici in grado di instaurare questo legame polare
con il metallo, garantendo la massima protezione del motore anche
durante l'avviamento, fase in cui questo subisce la maggiore usura
determinata dalla scarsa quantità di olio presente nei punti
critici.
Le famiglie di additivi antiattrito-antiusura.
Nella
meccanica non si è inventato nulla di veramente rivoluzionario
negli ultimi 50 anni. Il progresso di cui abbiamo potuto beneficiare
in campo motoristico è stato possibile grazie alle applicazioni
fluidodinamiche e all'elettronica, oltre ad un vantaggio garantito
dall'ottimizzazione dei materiali e delle lavorazioni meccaniche.
Uno dei progressi più evidenti è stato
quello compiuto nell'ambito della lubrificazione. Se 30 anni fa un
motore percorreva 40.000 Km prima di essere revisionato (bronzine,
fasce elastiche e valvole) ed oggi si arriva a 200.000 Km, gran
parte del merito è da attribuire agli enormi progressi compiuti
dalle industrie petrolifere nella realizzazione di oli lubrificanti
sempre più validi, in grado di garantire anche fino a 30.000 Km di
percorrenza. Tutto ciò è stato possibile proprio grazie agli
additivi, miscelati nel lubrificante in piccolissime quantità (si
parla di poche parti su cento fino a poche parti su mille, se si
escludono i correttori di viscosità). Ora,
è ovvio che migliorare lubrificanti così evoluti non è cosa
facile come poteva essere invece 15 o 20 anni fa. I
nostri additivi antiusura, antiattrito e, forse, "portatori di
cavalli", si dividono in due gruppi: gli additivi con molecole
solide e gli additivi completamente liquidi. I primi possono
contenere PTFE o teflon che dir si voglia, disolfuro di molibdeno,
fullerene C60, grafite e ceramica; i secondi sono quelli che
contengono cloro, cloroparaffine short chain e ditiofosfato di
zinco. Una terza famiglia è quella dei compositi, ovvero additivi
formulati unendo due o più molecole solide o liquide. Uno degli
esempi più frequenti è l'abbinamento di PTFE con cloroparaffine. A
questo punto, passiamo ad analizzare, per ogni tipo di additivo,
caratteristiche, vantaggi ed eventuali svantaggi che il suo impiego
può determinare.
Additivi liquidi: cloro, cloroparaffine, ditiofosfato di zinco.
Le
cloroparaffine sono tra i migliori additivi EP in assoluto. Gli
additivi a base di cloro sono sempre stati apprezzati per le loro
eccellenti caratteristiche antiusura, per il miglioramento della
scorrevolezza in caso di attrito radente e sono stati largamente
impiegati, soprattutto nel passato, anche nella formulazione di oli
convenzionali. Le attuali normative sui lubrificanti specificano
comunque che la quantità massima di cloro contenuta in un olio
motore non deve eccedere le 500 parti per milione. Il pregio delle
cloroparaffine è l'attrazione polare che sono in grado di
instaurare con le pareti metalliche. In questo modo, le filiformi
cloroparaffine riescono ad insinuarsi tra le microcreste del
metallo, creando una pellicola lubrificante molto tenace, in grado
di ridurre drasticamente l'attrito, l'usura e ottimizzare la
scorrevolezza. Queste famiglie
di additivi hanno però avuto enormi problemi in sede di test di
laboratorio per poter poi essere liberamente commercializzati. Il
problema riguarda la stabilità delle cloroparaffine stesse quando
vengono sottoposte a stress termici e sono a contatto con il vapore
acqueo all'interno del motore: se non sono stabili, infatti, possono
liberare cloro. Quest'ultimo, a sua volta, può reagire con il
vapore di condensa presente nel basamento e nella testata, formando
acido cloridrico che attacca i metalli bianchi delle bronzine, i
segmenti e le guarnizioni, con ovvie conseguenze deleterie. Le
aziende che producono additivi per oli lubrificanti a base di
cloroparaffine hanno avuto l'onere di ottimizzare queste molecole al
fine di renderle stabili ed evitare la dispersione di cloro nel
motore che, oltre a causare i problemi citati, diviene estremamente
pericoloso da inalare quando viene bruciato in camera di scoppio. La
sua combustione, infatti, genera diossine della cui tossicità è
superfluo parlare. Lo stesso discorso, a livello di pericolosità
per la salute e l'ambiente, deve essere fatto anche per il
ditiofosfato di zinco, altro additivo liquido caratterizzato da
eccellenti qualità antiattrito-antiusura. C'è
da dire che la stragrande maggioranza degli additivi basati su
cloroparaffine attualmente distribuiti in Italia e negli altri paesi
più evoluti sono caratterizzati da molecole stabili, in grado di
superare anche i test più severi effettuati prima di poter
commercializzare un lubrificante.
Additivi con molecole solide: PTFE, disolfuro di molibdeno, grafite,
ceramica, fullerene C60. Questa
famiglia di additivi è caratterizzata, appunto, da molecole solide
contenute in un fluido veicolante. La possibilità che si creino dei
coaguli di particelle solide, in grado di intasare il filtro olio
con conseguenze facilmente intuibili, deve essere scongiurata dalla
bontà del veicolante che dovrà avere proprietà lubrificanti,
antiruggine e detergenti, oltre ad elevate caratteristiche di
sospensione e dispersione delle molecole solide in esso disciolte.
Considerando che il filtro olio è in grado di filtrare particelle
fino a 15-17 micron, le molecole solide dovranno avere dimensioni
inferiori. Su motori particolarmente usurati, questa famiglia
di additivi svolge una buona funzione di riempimento, riducendo i
consumi d'olio e restituendo parzialmente e temporaneamente (nessuno
fa miracoli!) compressione e potenza al motore. Grazie alla maggiore
compressione, sulle vecchie auto è possibile notare anche un calo
delle emissioni di idrocarburi incombusti ed un miglioramento della
combustione. A tal riguardo, è però da ricordare che le molecole
di fullerene, per via delle loro dimensioni contenute, non
garantiscono un effetto riempitivo come quello dei prodotti a base
di PTFE.
PTFE
PTFE
(abbreviazione di politetrafluoroetilene), meglio conosciuto come
teflon. E' un polimero dotato di eccellenti caratteristiche
antiattrito, inerte e praticamente stabile. Resiste fino ad una
temperatura massima di 350 °C. Il diametro delle particelle di
teflon utilizzate negli additivi di migliore qualità è compreso
tra gli 0,02 ed i 2 micron (1 micron equivale alla millesima parte
del millimetro) e ciò rende impossibile l'ostruzione del filtro
olio o dei vari canali di lubrificazione. Particelle di
dimensioni così contenute possono essere ottenute soltanto
bombardando il teflon con raggi gamma, tralasciando ogni altra forma
di lavorazione. Al fine di garantire uno sfruttamento ottimale del
potere lubrificante delle resine fluorocarboniche, è essenziale che
il veicolante in cui sono disciolte garantisca sempre ottimi livelli
di dispersione e sospensione delle particelle, per evitare la
formazione di coaguli potenzialmente in grado di ostruire il filtro
dell'olio e le canalizzazioni minori. Un cattivo impiego di questo
prodotto (additivi con veicolanti non efficaci, uso di particelle di
dimensioni eccessive) ha fatto sì che la DuPont, proprietaria del
marchio e del brevetto della molecola del teflon, ne sconsigliò
l'impiego nella lubrificazione dei motori in una lettera del 1984,
più per sollevarsi da responsabilità generate da usi impropri e da
prodotti scadenti che dalla reale pericolosità per i propulsori del
loro prodotto, il quale viene ormai utilizzato da tanti anni anche
in Italia. La DuPont è anche proprietaria della Krytox, azienda
(specializzata nella produzione di lubrificanti) che non annovera
tra i suoi prodotti additivi olio motore a base di teflon.
GRAFITE
E MOLIBDENO
La
grafite e il disolfuro di molibdeno sono largamente impiegati nelle
formulazioni di grassi per uso industriale proprio per le loro
eccellenti caratteristiche antiattrito-antiusura, per la stabilità
chimica (sebbene la stabilità della grafite sia nettamente
superiore a quella del disolfuro di molibdeno) e per la resistenza
alle alte temperature (anche in questo caso la grafite ha
caratteristiche superiori a quelle del disolfuro di molibdeno). Le
particelle di disolfuro di molibdeno e grafite hanno una
conformazione lamellare, la cui tendenza alla sovrapposizione
garantisce un velo lubrificante estremamente resistente ai carichi
ed alle elevate temperature. Come per il teflon (PTFE), anche per la
grafite e per il disolfuro di molibdeno è necessario poter
utilizzare un veicolante in grado di fornire ottime caratteristiche
di dispersione e sospensione, oltre che detergenti, al fine di
evitare la formazione di morchie, vero punto debole di questi
composti. Utilizzando questi additivi, tecnicamente molto validi, è
necessario sostituire l'olio ed il filtro olio con regolarità,
ripetendo sempre il trattamento.
FULLERENE
C60
Parliamo
ora della famiglia dei derivati del carbonio: gli additivi a base di
fullerene. Quest'ultimo è una molecola complessa ottenuta mediante
particolari bombardamenti di atomi di carbonio, che si uniscono tra
loro formando un reticolo simile a quello della cucitura di un
pallone da calcio. Le molecole di fullerene, nelle applicazioni
motoristiche, vengono diluite all'interno di un veicolante e si
comportano come un cuscinetto tra le parerti metalliche in contatto,
trasformando così l'attrito radente (attrito tra due superfici che
strisciano una sull'altra) in attrito volvente (attrito che si
genera tra corpi che rotolano tra loro senza strisciare: esempio, i
cuscinetti a sfera). Che si tratti di un prodotto in grado di
ridurre attrito e usura ed innocuo per il motore è testimoniato dal
fatto che grandi aziende petrolifere (tra le quali possiamo citare
la Bardhal) lo hanno scelto per additivare i loro migliori oli
lubrificanti, in grado così di ridurre il consumo di carburante. Il
fullerene, poi, non crea alcun tipo di danno al motore, neanche nel
lungo periodo. Una volta aggiunto all'olio lubrificante, esso resta
nel motore (a detta delle aziende che lo commercializzano) per circa
40.000 Km: dopo di che è necessario ripetere il trattamento.
CERAMICA
Quando
si parla di ceramica liquida nel motore, ci sono da fare alcune
considerazioni. La ceramica è fondamentalmente terra cotta, ovvero
silicio, lo stesso materiale usato per realizzare smerigli di ogni
tipo, in grado di consumare metalli con facilità: dunque, c'è
qualcosa che effettivamente non torna... Quanti di voi metterebbero
una manciata di terra nel loro motore? Visto che la ceramica è
liquida soltanto a temperature ben superiori a quelle di
funzionamento di un motore e che microparticelle solide di ceramica
potrebbero danneggiare seriamente il propulsore stesso per via della
loro funzione abrasiva, c'è da chiedersi cosa ci sia realmente
negli additivi a base di "ceramica liquida".
Probabilmente, molti additivi sono stati definiti
"ceramici" (denominazione utilizzata in pochissimi paesi
al mondo) per questioni commerciali o per altre ragioni, ma
sicuramente non perché contengono realmente ceramica, almeno così
come la intendiamo noi. Con molta probabilità, si tratta di
additivi contenenti polimeri simili al PTFE, come ad esempio il
tetrafluorietilene (polimero derivato dal PTFE), e composti dello
zinco. I riporti ceramici che fecero il loro ingresso, nella Formula
1 dei motori turbo da 1.000 cv/litro, sui pistoni e sulle teste (per
isolare la camera di scoppio, aumentare l'adiabaticità del motore e
isolare dal calore determinate zone della testa o del pistone), non
hanno nulla a che fare con questa pseudo-ceramica: quei riporti
vengono effettuati con particolari vernici, cotte poi in forno ad
altissime temperatura; non vengono miscelati al lubrificante.
Comunque, a prescindere da questi dubbi sulla loro formulazione, c'è
da dire che alcuni additivi "ceramici" funzionano molto
bene, soprattutto su motori usurati.
Additivi e incrementi di potenza.
Ma
allora, questi additivi garantiscono effettivamente un incremento
della potenza del motore? Ci limitiamo a fare alcune considerazioni.
Che una riduzione dell'attrito radente assicuri un incremento di
potenza e una diminuzione dell'usura e dei consumi di carburante è
scontato, come pure che un additivo di buona qualità con molecole
solide garantisca un incremento della compressione su motori
particolarmente usurati, restituendo parzialmente potenza e coppia.
Quantificare però questo incremento di potenza è una chimera, in
quanto bisognerebbe organizzare una prova scientifica, portando in
una sala prova dieci motori identici e sperimentare su ognuno di
essi un diverso additivo per valutarne le effettive peculiarità
(verificando l'usura degli organi interni a fine ciclo). Alla fine
di questo test, bisognerebbe acquistare altri dieci motori e
ripetere la prova, nel completo rispetto del metodo scientifico. I
costi per effettuare una simile operazione sono elevatissimi e,
almeno fino a oggi, nessuno ha voluto gettarsi in una simile
impresa. Un'ultima considerazione dovrebbe poi essere fatta in
merito ai veicolanti. Un veicolante molto fluido, come spesso capita
di vedere tra gli additivi, fluidifica l'olio presente nel motore.
Un olio più fluido assorbe meno potenza dal motore di quanto non
faccia uno meno fluido per far funzionare la pompa dell'olio:
ebbene, quanta della potenza che si legge al banco prova viene dalla
riduzione dell'attrito e quanta deriva da una maggiore fluidità
dell'olio lubrificante additivato? Una cosa comunque è certa: molto
più importante dei 2 o 3 cavalli ottenibili è garantire al motore
maggiore protezione possibile negli avviamenti a freddo e nelle
condizioni di impiego estreme, fasi in cui si lamenta la maggiore
usura degli organi meccanici.
Qualche consiglio finale.
Possiamo
a questo punto trarre delle conclusioni. Dopo un periodo iniziale di
confusione, a cavallo degli anni Novanta, c'è stata una certa
scrematura: gli additivi più longevi sul mercato hanno dimostrato
con il tempo di garantire certi risultati e, soprattutto, di non
danneggiare i motori su cui vengono impiegati. Questo è ottenuto
grazie a dei test di omologazione sempre più scrupolosi e alla dura
legge del mercato. Il consiglio è quello di acquistare prodotti di
aziende note, che possano vantare una lunga presenza sul mercato, e
di cui si conosca l'effettiva composizione chimica. E' di
fondamentale importanza, poi, seguire scrupolosamente le indicazioni
del produttore-distributore-importatore del prodotto riguardo alle
modalità di impiego dello stesso, onde evitare qualsiasi genere di
problema al nostro motore. Un'ultima raccomandazione riguarda i
motori nuovi: evitate di usare questi prodotti su motori che non
abbiano terminato il rodaggio e che non abbiano percorso almeno
15.000 - 20.000 Km, per evitare un inadeguato assestamento dei vari
organi.
Materiale
tratto da ELABORARE n° 83
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