1.
Le origini.
La storia
dell'Alfa Romeo comincia negli ultimi mesi del 1906, quando un
eclettico imprenditore di Bordeaux (Francia), Alessandro Darracq,
costituisce la "Società Italiana Automobili Darracq" e
apre una sede per il montaggio in Italia dei modelli già
costruiti in Francia e destinati al mercato italiano. La zona
scelta per il nuovo complesso industriale si trova alla periferia
Nord-Ovest di Milano e deve il suo nome (il "Portello")
ad una vecchia trattoria, presente proprio in quei luoghi. Quando
la Darracq decide di chiudere gli stabilimenti per sopraggiunte
difficoltà economiche, nell'autunno del 1909 un gruppo di
finanzieri lombardi li rileva con l'intenzione di farne proseguire
la produzione automobilistica: il 24 giugno 1910 viene così
costituita la nuova società, col nome di "A.L.F.A."
(Anonima Lombarda Fabbrica Automobili) e con sede in Strada del
Portello 95. Il cavalier Ugo Stella, già amministratore delegato
della Darracq, nella nuova avventura si fa affiancare da un giovane tecnico di origini
piacentine che proviene dalla Bianchi, Giuseppe Merosi, e gli
chiede subito di studiare due modelli per la neonata azienda.
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Siamo
in piena "Belle époque", Guglielmo Marconi riceve il
premio Nobel per la fisica, le concorrenti Fiat e Lancia hanno,
rispettivamente, undici e quattro anni di vita, e la sfida della
nuova Azienda comincia subito con un primo successo: la "24 HP".
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Interamente
progettata dal geometra Giuseppe Merosi e da altri tecnici
italiani nel 1909 per conto della Società Italiana Automobili
Darracq, la "24 HP" si fa apprezzare per la meccanica
moderna (motore monoblocco e trasmissione a cardano), per le
prestazioni (permette di superare i 100 km/h, una velocità
assolutamente notevole per l'epoca!) e per il piacere di guida,
caratteristiche che diventeranno simboli della identità del
Marchio. Il motore è un 4 cilindri in linea di 4082 centimetri
cubi (con 1 albero a camme nel basamento) che eroga 42 cavalli,
poi saliti a 45 cv nella "24 HP serie C" del 1912 e nella
"24 HP serie D" del 1913 e incrementati ulteriormente a 49 cv
nella "20-30 HP serie E" che, nel 1914, rappresenta
l'ultima evoluzione della originaria "24 HP" (tra
l'altro, la distribuzione a ingranaggi viene modificata con catene
silenziose). L'anno seguente, all'esordio sportivo, la vettura sta
per vincere la prestigiosa Targa Florio, ma deve ritirarsi per un banale
incidente: il pilota è accecato da uno spruzzo di fango. Il
modello viene prodotto in oltre 200 autotelai che, secondo
l'abitudine dell'epoca, sono poi affidati ai carrozzieri per
l'allestimento definitivo. Nascono così la versione "Spider", la
"Corsa" a due posti, la "Limousine" a sette
posti e la "Torpedo", che sarà usata anche dal Comando
Supremo dell'Esercito Italiano durante il primo conflitto
mondiale. La seconda delle due vetture richieste da Ugo Stella è
la "12 HP", anch'essa con motore a 4 cilindri in linea a
1 albero a camme nel basamento, ma di soli 2413 centimetri cubi:
coi suoi 22 cv, la "12 HP" ben figurò al Primo Concorso
di Regolarità di Modena (1500 chilometri articolati in
cinque tappe), la prima gara che vide un'Alfa al nastro di
partenza. Entrambi i modelli, la "24 HP" e la "12
HP", si trasformano sin da subito in buoni successi commerciali, dando così
impulso ad una crescita che si concreta nel 1913 con l'assunzione
di 300 tra operai e impiegati. Nel 1913,
l'Alfa commercializza la "40-60 HP". Con i suoi 70 cv
erogati da un motore a 4 cilindri in linea da 6082 centimetri cubi
(2 alberi a camme nel basamento, valvole in testa comandate da
aste e bilancieri), questa vettura arriva seconda assoluta nella
famosa corsa in salita "Parma-Poggio di Berceto".
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La
"40-60 HP" rappresenta anche una tappa importante
nell'ambito degli studi sull'aerodinamica. E' infatti sul telaio
di questa vettura che viene allestita la "40-60 HP Siluro
Ricotti" carrozzata Castagna su progetto del conte Marco
Ricotti: la "Siluro Ricotti" raggiunge una velocità di
punta di 139 km/h in luogo dei 110 km/h raggiunti dalla
"40-60 HP" normale.
L'anno
seguente, è il 1914, Merosi firma anche la prima "Grand Prix"
Alfa, con la quale il pilota Giuseppe Campari percorre il
chilometro lanciato a oltre 147 km/h. Sono due dei successi
sportivi che contribuiranno a far nascere la leggenda dell'Alfa
Romeo e andranno a formare un palmarès che oggi comprende oltre
cento allori: dai 5 Campionati Mondiali alle 11 "Mille
Miglia", dalle 4 "24 Ore di Le Mans" al Campionato
Turismo Tedesco DTM.
2.
Nasce il Quadrifoglio.
I
successi, però, non durano a lungo: l'imminenza della guerra
provoca un drammatico crollo delle vendite e già nel 1915 la
fabbricazione di vetture si blocca in favore di quella di
forniture militari, le quali non giovano certo all'assetto
economico della società. Nuovi capitali arrivano dal gruppo
finanziario di Nicola Romeo, un ingegnere e industriale napoletano
che il 2 dicembre 1915 rileva l'Alfa salvandola dalla chiusura
certa. Nello stabilimento del Portello si producono ora
motocompressori (da ricordare, per esempio, il motocompressore
"Monoblocco Romeo" realizzato nel 1916 utilizzando i
motori della "24 HP" opportunamente modificati),
munizioni, lanciafiamme e motori per aeroplani.
Con
il ritorno della pace diventa poi necessaria una nuova
riconversione, che si rivela lunga e difficile. Questa
volta, dalle officine escono trivelle, trattori e materiale
ferroviario. Soltanto
nel 1919, con la guida tecnica sempre affidata a Giuseppe Merosi,
l'Alfa torna a costruire automobili, dapprima continuando a
costruire i modelli antecedenti alla guerra e successivamente
facendo nascere nel 1920 la "G1" (6 cilindri in linea,
6330 centimetri cubi, 1 albero a camme nel basamento, 70 cv): è
questo un modello di scarsa fortuna, progettato da Giuseppe Merosi
dietro le pressanti indicazioni di Enzo Ferrari, già da tempo
pilota della Casa, il quale aveva visto in questo progetto
un'ampia possibilità di sviluppo per le corse.
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Ma
i notevoli consumi, del tutto inadeguati ad un periodo
post-bellico, si rivelarono molto presto un ostacolo
insormontabile, che non permise di superare la produzione di soli
52 esemplari (venduti tutti in Australia). Nel 1921 viene
commercializzata la torpedo "20-30 ES Sport", prima
vettura con la nuova ragione sociale: "Alfa Romeo".
Proprio guidando uno di questi esemplari, il ventiduenne Enzo
Ferrari arriva secondo alla Targa Florio. Con il loro motore (1
albero a camme nel basamento) a 4 cilindri in linea da 4250
centimetri cubi da 67 cv, le "20-30 ES Sport" vengono
realizzate utilizzando soprattutto i componenti della "24 HP"
(comuni anche alla "20-30 HP") adeguatamente migliorati:
l'alesaggio passa da 100 a 102 mm, il passo viene ridotto a 2900
mm (contro i 3020 mm della "24 HP" e i 3200 mm della
"20-30 HP"), il telaio viene radicalmente aggiornato,
l'impianto elettrico viene dotato di avviamento automatico e, su
richiesta, vengono anche fornite le ruote a raggi a smontaggio
rapido fissate con gallettoni. Da notare che quasi tutte le
modifiche e gli aggiornamenti apportati sono da ascrivere ad
Antonio Ascari, agente di vendita per la Lombardia e già pilota
di fama.
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I
successi sportivi non mancano: la "40-60 HP" e la
"20-30 ES" (e successivamente anche la "RL
Sport") riportano successi al Mugello, a Brescia, alla Coppa
delle Alpi, alla Targa Florio. In
quegli anni, l'Italia, come altri Paesi europei, attraversa una
profonda crisi politica, sociale ed economica. Sono giorni di
tensione per l'occupazione delle fabbriche, la moneta si svaluta:
il dollaro, quotato poco più di cinque lire nel 1914, sei anni
dopo è salito a quasi 30. Nel 1921, crolla la Banca Nazionale di
Sconto, che è diventata il principale azionista dell'Alfa Romeo e
di altre aziende. Deve intervenire il Governo, fondando l'Istituto
per la Sovvenzione sui Lavori Industriali. Nel
1922, l'Azienda presenta il modello "RL" che riscuote
notevole successo e che, condotto da Ugo Sivocci (pilota
dell’Alfa Romeo dal 1920 al 1923),
conquista la prima delle dieci vittorie nell'edizione del 1923
della Targa Florio (oltre che il secondo, con Antonio Ascari, e il
quarto posto).
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Nella
stessa gara, per la prima volta, compare sul cofano quel
quadrifoglio verde che, racchiuso all'interno di un triangolo
bianco, diventerà poi il segno distintivo di tutte le
vetture sportive della Casa: inizialmente, Sivocci lo aveva
dipinto sulla sua "RL" come
semplice simbolo scaramantico.
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La
prima "RL" - siamo nel 1922 - è equipaggiata con un
motore a 6 cilindri in linea da 2916 centimetri cubi (1 albero a
camme nel basamento, alesaggio 75 mm, corsa 110 mm) erogante 56 cv.
La vita di questo modello è una vita lunga, costellata anche di
grandi successi sportivi: nelle sue varie versioni
"Sport" (2994 centimetri cubi, 71 cv) e "Super
Sport" (2994 centimetri cubi, 83 cv), la "RL" brillò
nelle gare su strada per vetture Turismo fino alle soglie degli
anni Trenta. Dal progetto "RL" deriva anche, nel 1923,
la "RM", il cui motore (4 cilindri in linea, 1944
centimetri cubi, 40 cv, 1 albero a camme nel basamento) non è
altro che lo stesso motore della "RL" privato di due
cilindri: qualche novità caratterizza solo la "RM
Sport" del 1924, che presenta un leggero incremento della
cilindrata (ora di 1996 centimetri cubi) e
della potenza (salita a 44 cv), e la "RM Unificato" del
1925 (1996 centimetri cubi, 48 cv). Si arriva così al momento in
cui Giuseppe Merosi cede il testimone a Vittorio Jano, affermato
progettista piemontese che arriva dalla Fiat. Suo è un autentico
capolavoro: la
"P2" del 1924.
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Il
motore è un 8 cilindri biblocco di due litri, con distribuzione
bialbero e valvole inclinate di 104°: eroga 140 cavalli, che
salgono a 155 nel 1925 e a 175 nel 1930. Sul circuito di Cremona
la vettura raggiunge i 225 km/h e per cinque anni miete allori su
allori, dimostrandosi una sportiva invincibile: con la
"P2", Antonio Ascari vince il Gran Premio d'Italia a
Monza e Giuseppe Campari vince il Gran Premio d'Europa a Lione.
Dopo una sfilza di trionfi, la "P2" condotta da Gastone
Brilli Peri vince anche, nel 1925, il primo Campionato
Automobilistico del Mondo. Comincia un
periodo felice, contrassegnato da grandi innovazioni tecniche e da
importanti vittorie sportive. Da un lato, alcuni modelli dalla
tecnica superba, progettati dall'inesauribile Jano: la "6C
1500", la "6C 1750 SS", la
"6C 1750 Gran Sport" (1930), la "8C 2300",
la "8C 2900 Tipo A" e "Tipo B"
che eroga addirittura 220 cavalli; dall'altro le prodezze di
piloti come Antonio Ascari, Gastone Brilli Peri, Giuseppe Campari,
Enzo Ferrari e Achille Varzi. Un ricordo a sé merita Tazio
Nuvolari, idolo delle folle assiepate ai bordi delle polverose
strade dell'epoca. E non a caso: sette vittorie nel '32 (e 13
quattro anni dopo) e i record di velocità sul chilometro e sul
miglio lanciato sulla Firenze-Mare nel 1935 a 336 km/h con l'Alfa
"Bimotore".
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E
poi ancora la coppa Vanderbilt a New York nel '36 e gli
entusiasmanti duelli con Achille Varzi, il nemico-amico di sempre.
Come quello, forse romanzato, nella Mille Miglia del 1930, quando,
a fari spenti, Nuvolari insegue e supera l'avversario partito
cinque minuti prima. Proprio Tazio Nuvolari,
poi, porta a battesimo nel 1932 a Monza, al Gran Premio d'Italia,
la "Tipo B (P3)", una 8 cilindri di 2,6 litri che si
dimostra subito vincente.
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E'
il primo di molti successi che la vedranno arrivare imbattuta al
1933, contrastando tenacemente i nascenti astri tedeschi. Nel
1934, la cilindrata arriva a sfiorare i 3 litri, mentre, l'anno
successivo, la Scuderia Ferrari, cui viene affidata la gestione
delle vetture, la porta a 3,1 litri con 265 cv a disposizione. La
ferrea volontà di non arrendersi mai viene ripagata con una
clamorosa vittoria in casa di Mercedes e Auto Union al G.P. di
Germania del 1935, con Nuvolari che taglia per primo il traguardo
beffando tutti. Le
indicazioni tecniche e pratiche emerse dalle corse vengono poi
trasferite sulla produzione di serie. Nel 1927 nasce la "6C
1500", equipaggiata con un motore a 6 cilindri in linea da
1487 centimetri cubi (caratterizzato dall'adozione di 1 albero a
camme non più nel basamento ma in testa) erogante 44 cv e
composto da un'unica fusione in ghisa che prevede gruppo cilindri
e testa, mentre la coppa dell'olio e il basamento (contenente
l'albero motore) sono realizzati in alluminio: un successo anche
commerciale, ottenuto da un sapiente
cocktail di potenza, leggerezza, equilibrio generale e frenata. Tra
le versioni derivate dalla "6C 1500" ricordiamo la
"6C 1500 Sport" (1487 centimetri cubi, 2 alberi a
camme in testa, 54 cv) e la "6C 1500 Mille Miglia
Speciale" (1487 centimetri cubi, 2 alberi a camme in testa,
60 cv senza compressore e 76 cv con compressore volumetrico tipo
Roots con rapporto di rotazione di 14:1 rispetto al motore),
entrambe del 1928. La "6C 1500 Sport" è la prima Alfa
Romeo venduta al pubblico che dispone di un motore con doppio
albero a camme in testa: per attenuare il rumore e dare inerzia al
sistema della più complessa distribuzione, l'estremità anteriore
degli alberi a camme è dotata di due pulegge che fungono da
volani con una terza (ancorata alla testa) anch'essa con funzioni
di volano. Per quanto riguarda poi la "6C 1500 Mille Miglia
Speciale", una curiosità: nei decenni successivi, questa
versione è stata erroneamente definita (anche da fonti vicine
alla stessa Alfa Romeo) "6C 1500 Super Sport", ma in
realtà un tale denominazione ("Super Sport") è
corretta solo se riferita alle successive "6C 1750 Super
Sport" ridotte nella cilindrata per la partecipazione a gare
nella classe fino a 1500 centimetri cubi e che nasceranno solo nel
1929. E' infatti con
l'aumento della cilindrata, avvenuto nel 1929, che il modello
cambia nome e diventa "6C 1750": 6 cilindri in linea,
1752 centimetri cubi, 1 albero a camme in testa, 46 cv, testa
(sempre in ghisa) smontabile dal gruppo cilindri, candele
collocate sul lato sinistro della testa, collettori di aspirazione
e scarico collocati entrambi sul lato destro. Dalla "6C
1750" derivano sempre nel 1929 la "6C 1750 Sport"
(1752 centimetri cubi, 2 alberi a camme in testa, 52 cv), la
"6C 1750 Super Sport" (1752 centimetri cubi, 2 alberi a
camme in testa, 64 cv senza compressore e 85 cv con compressore
volumetrico avente le stesse caratteristiche di quello montato
sulla precedente "6C 1500 Mille Miglia Speciale"), la
"6C 1500 Super Sport" a cui abbiamo già accennato
(allestita con cilindrata ridotta per la partecipazione alle
competizioni nella classe 1500 della categoria Sport). Nel 1930 è
la volta della "6C 1750 Gran Turismo" (1752 centimetri
cubi, 2 alberi a camme in testa, 55 cv), della "6C 1750 Gran
Sport" (1752 centimetri cubi, 2 alberi a camme in testa, 85
cv, compressore volumetrico di nuovo disegno e di dimensioni
maggiorate ma con rapporto di rotazione 1:1 in relazione al motore
e quindi meno veloce di quello adottato nella "6C 1750 Super
Sport"), della "6C 1500 Gran Sport" (1487
centimetri cubi, 2 alberi a camme in testa, compressore, 80 cv).
Nel 1931 arriva anche la "6C 1750 Gran Turismo
Compressore" (1752 centimetri cubi, 2 alberi a camme in
testa, compressore, 80 cv). La produzione della "6C
1750" va avanti, con piccoli aggiornamenti, sino a tutto il
1933.
E'
dunque un modello di grande successo: in quattro anni se ne
costruiscono 2259, un record! Nella seconda metà degli anni
Venti, infatti, la produzione Alfa supera di poco le mille auto
per anno, mentre quella totale italiana si aggira sulle 15 mila
vetture. Ma il nuovo 6 cilindri di Jano è destinato a
mietere successi non solo in campo commerciale, ma anche in campo
sportivo, soprattutto con la cilindrata di 1750 centimetri cubi:
basti pensare alla Mille Miglia del 1930 con l'equipaggio
Nuvolari-Guidotti. Ma c'è pure un
altro bolide alfista che è simbolo di questi anni: è la "8C
2300" (con la quale Campari trionfa a Monza nel 1931).
Nasce nel 1931 come spider 4 posti
e, nello stesso anno, vince la 24 Ore di Le Mans con Lord
Howe-Birkin.
Questo
capolavoro di Vittorio Jano è dotato di un superbo 8 cilindri di
2336 centimetri cubi a doppio albero a camme in testa con
compressore volumetrico: eroga una potenza massima di 142 cv.
Due
i tipi di telaio previsti, a seconda delle diverse esigenze: un
telaio corto per l'impiego agonistico e un telaio lungo da
utilizzare in presenza di eleganti carrozzerie cabriolet o
berlina.
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Nella
versione più spinta (la "8C 2300 Monza") trionfa
dappertutto: dalla Targa Florio (nel 1931 con Nuvolari, nel 1933
con Antonio Brivio) alla Mille Miglia (nel 1934 con
l'equipaggio Varzi-Bignami), dal Gran Premio di Monaco (nel 1932
con Nuvolari) a quello d'Italia (nel 1931 con l'equipaggio
Campari-Nuvolari).
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Questi
successi si affiancano al successo commerciale della produzione di
serie, come già avvenuto nel caso della "6C 1500" e
della "6C 1750". La "8C 2300" verrà
complessivamente prodotta sino a tutto il 1934 in tre differenti
serie, mantenendo tuttavia immutate le proprie caratteristiche
tecniche fondamentali: con l'arrivo della seconda serie (1932)
vengono modificate la lunghezza delle balestre anteriori,
l'inclinazione del volante nella versione a passo lungo, la
lunghezza del piantone dello sterzo e la posizione della pompa
elettrica di alimentazione nel modello a passo corto; la terza
serie (1933), invece, vede semplicemente l'introduzione di un
nuovo serbatoio dell'olio di forma ovale con capacità ridotta e
di un nuovo impianto di scarico, oltre che di altre piccole
modifiche all'assale anteriore.
3.
L'Alfa spicca il volo.
Ancora una volta, però,
fattori esterni all'Azienda (e, in particolare, la crisi economica
mondiale, avviata dal crollo della Borsa di Wall Street nel '29)
incrinano l'espansione dell'Alfa che, nel 1933, passa sotto il
controllo dell'IRI (l'Istituto per la Ricostruzione Industriale,
nato da poco proprio per aiutare le aziende in crisi) diretto da
Ugo Gobbato. Questi
avvia un imponente processo di ammodernamento degli impianti con
modifiche alle attrezzature e all'organizzazione. Nel
'34, comunque, le sue vetture da corsa, affidate alla Scuderia
Ferrari, vincono più gare di tutte quelle delle altre Case:
l'attività sportiva fa addirittura passare in secondo piano la
produzione di serie, che comunque prosegue intensamente con
prodotti di altissimo livello: impossibile non ricordare
innanzitutto i modelli derivanti dalla progressiva evoluzione del
motore a 6 cilindri in linea di Vittorio Jano. Dopo essere
inizialmente cresciuto dai 1487 centimetri cubi della "6C
1500" ai 1752 centimetri cubi della "6C 1750",
questo storico motore cresce ancora, dapprima con la breve
apparizione (nel 1933) della "6C 1900 Gran Turismo", poi
con la nascita (nel 1934) della "6C 2300" nelle sue
numerose versioni. Nella "6C 1900 Gran Turismo", la
testa in ghisa (lo stesso materiale del blocco cilindri) che fino
a questo momento ha caratterizzato tutta la produzione della Casa,
viene sostituita da una testa in alluminio. Ma non si tratta
dell'unica novità: il telaio è ora scatolato e saldato in alcune
parti anziché chiodato (a tutto beneficio della rigidità), il
cambio adotta un dispositivo a ruota libera, il radiatore
dell'acqua cresce notevolmente in dimensioni, la terza marcia è
adesso sincronizzata. Nel 1934, come già accennato, è la volta
della "6C 2300" che caratterizzerà la storia dell'Alfa
praticamente sino allo scoppio della nuova grande guerra. Si
inizia con la "6C 2300 Turismo" presentata al Salone
dell'Automobile di Milano del 1934: scompare il compressore
volumetrico ma, in compenso, la testa in alluminio con 2 alberi a
camme viene estesa anche alle versioni "Turismo" (che in
pratica hanno costituito sempre, nei primi quaranta anni della
vita del Marchio, le versioni d'accesso dei vari modelli) prima
caratterizzate da una distribuzione monoalbero: il comando non
avviene più tramite ingranaggi ma attraverso catene silenziose. E
poi ancora pompa di alimentazione elettrica, frizione monodisco a
secco con molle parastrappi, balestre esterne al telaio, barre
rigide di collegamento collocate alle parti terminali del telaio,
ammortizzatori a frizione, freni meccanici, strumenti Veglia. La
cilindrata è di 2309 centimetri cubi, 68 sono i cv erogati.
Cilindrata e caratteristiche fondamentali inalterate ma potenza
accresciuta nelle altre versioni, che nascono sempre nel 1934: la
"6C 2300 Gran Turismo" (caratterizzata da un passo
accorciato) arriva ad erogare 76 cv (grazie ad un diverso rapporto
di compressione e all'adozione di alberi della distribuzione più
spinti, in comune con la versione "Sport") che salgono
ancora a 95 cv nella "6C 2300 Sport", ribattezzata poi
"6C 2300 Pescara" (in onore della vittoria a Pescara,
alla Targa Abruzzo del 1934): costruite in appena 60 esemplari, le
"Pescara" derivano direttamente dalle "6C 2300 Gran
Turismo" da cui differiscono per l'adozione di due
carburatori, per lo scarico ottimizzato, per la testa che è
capace di un più elevato rapporto di compressione ed è dotata di
una terza molla per ogni valvola, per il serbatoio completamente
ridisegnato, per le balestre posteriori modificate. L'arrivo
dell'anno 1935 porta con sé la nascita di un progetto
completamente nuovo che è, idealmente, lo sviluppo della "6C
2300" ed è, nei fatti, la base per la nascita delle
successive "6C 2500" del 1939. Nasce infatti la "6C
2300 B Gran Turismo" che mantiene il motore a doppio albero a
camme della precedente "6C 2300", inaugurando però un
autotelaio completamente nuovo ed estremamente moderno,
caratterizzato da ruote indipendenti sia all'avantreno che al
retrotreno, da un ponte posteriore sospeso elasticamente al telaio
e da freni idraulici al posto dei freni meccanici della precedente
produzione Alfa Romeo. Le versioni con carrozzeria berlina vengono
realizzate direttamente dall'Alfa Romeo; per le versioni cabriolet
e coupé ci si continua invece ad affidare a carrozzieri esterni.
Molteplici le versioni derivate. Nello stesso 1935 arriva la
"6C 2300 B Pescara" che riceve anche lei gli
aggiornamenti a quattro ruote indipendenti mantenendo il motore
potenziato da 95 cv. Nel 1936 nasce la "6C 2300 B
Turismo": 2309 centimetri cubi, 2 alberi a camme in testa, 70
cv. Nel 1938 inizia la produzione della "6C 2300 B
Corto" (2309 centimetri cubi, 2 alberi a camme in testa, 76
cv, pompa di alimentazione non più elettrica ma meccanica e
collocata sul motore, nuovo cambio con terza e quarta marca
sincronizzate e seconda, terza e quarta marcia ad ingranaggi
silenziosi sempre in presa, trasmissione dotata di giunti elastici
e cuscinetti a sfera del differenziale sostituiti da rulli conici)
e della "6C 2300 B Lungo" (2309 centimetri cubi, 2
alberi a camme in testa, 70 cv, autotelaio allungato). E sempre
nel 1938 nasce anche "6C 2300 B Mille Miglia"
(2309 centimetri cubi, 2 alberi a camme in testa, 95 cv): questa
particolare versione deriva la propria denominazione dal fatto che
l'Alfa Romeo aveva allestito per la Mille Miglia del 1937 una
berlinetta con una nuova e leggerissima carrozzeria realizzata
dalla Touring; la vettura si era piazzata al quarto posto assoluto
grazie alle capacità del pilota Giovanbattista Guidotti, il quale
- ovviamente per motivi propagandistici - era accompagnato da
Ercole Boratto, autista personale di Mussolini. Ebbene, a causa
del successo, l'Alfa ne costruì una piccola serie con motore di
potenza ridotta di 10 cv. Nel corso del 1939 si interrompe la
produzione della "6C 2300 B" e la sua importante eredità
viene raccolta dalla "6C 2500" che vivrà addirittura
sino al 1953. Ma gli anni Trenta non possono certo essere
archiviati senza citare la "8C 2900 B" (nata nel 1937)
che anzi, nella carrozzeria "Touring", è da
considerarsi - dal punto di vista motoristico - l'Alfa più
rappresentativa del periodo: il cofano imponente è simbolo di una
eleganza e di una potenza che affascinano. Si tratta di un'auto
costruita utilizzando addirittura il motore della monoposto
"Tipo B 1935" leggermente ridotto nella cilindrata e che,
già nel 1935, era stato impiegato nella biposto da competizione
"8C 2900 A" che aveva conquistato i primi tre posti
della Mille Miglia del 1936. Due compressori volumetrici, 8
cilindri in linea, 2905 centimetri cubi, 2 alberi a camme in
testa, un gruppo cilindri (in lega leggera) diviso in due blocchi
di quattro con canne di acciaio piantate; potenza massima erogata:
180 cv (la "8C 2900 A" da competizione ne erogava 40 in
più). Anche in questo caso, i vari carrozzieri possono fare
affidamento sulla fornitura da parte della Casa di telai corti e
di telai lunghi.
|
Nel
frattempo, l'IRI indirizza la produzione verso i motori
aeronautici e i veicoli industriali. Già nel '26, l'Azienda aveva
cominciato a fabbricare, su licenza dell'inglese Bristol, motori
stellari a nove cilindri per aerei. Negli anni Trenta, poi,
nascono motori potenti e affidabili, richiesti anche all'estero.
Merito degli avanzati materiali utilizzati, come la Duralfa, una
lega leggera di alluminio usata per costruire eliche, pistoni,
teste cilindri e altri componenti. Nel '39 nasce il
"135", un 18 cilindri a doppia stella, che con quasi
2000 HP è il più potente propulsore dell'epoca. Altri motori
conquistano tredici record mondiali di velocità, altezza e
distanza. La produzione aeronautica raggiunge quasi l' 80% del
fatturato annuo e per soddisfare le crescenti richieste, sul
finire del decennio, si costruisce uno stabilimento a Pomigliano
D'Arco (Napoli). Il
Marchio Alfa è apprezzato anche nei veicoli industriali. Il primo
autocarro, il "Bussing 50", è del 1931. Nel '35, il
"T85G" vince un concorso internazionale per camion a
gassogeno sul percorso Roma-Bruxelles-Parigi. Il modello
"500", poi, nella versione autocarro trasporta 110
quintali, mentre come autobus è apprezzato per la linea, la
comodità offerta ai passeggeri e la velocità di 68 chilometri
orari. In una parola, sono mezzi affidabili anche in condizioni
difficili, tanto che durante la campagna d'Etiopia l'Azienda
fornisce all'Esercito Italiano oltre 2000 veicoli. In
questo periodo di transizione nasce la "6C 2500", che
viene definita dalla Revue Automobile "l'orgoglio
dell'Italia": bellissima, opulenta e costosissima, è
l'ultima Alfa prima dello scoppio della seconda guerra mondiale.
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La
"6C 2500" arriva esattamente nel 1939 e rappresenta in
pratica la tappa finale del lungo processo evolutivo del motore a
6 cilindri in linea creato da Jano nell'ormai lontano 1927 per la
prima "6C 1500". Sulla "6C 2500 Turismo del 1939
trova spazio un 6 cilindri in linea da 2443 centimetri cubi e
doppio albero a camme che è direttamente frutto dello sviluppo
del motore che muoveva la "6C 2300 B": 87 cv la potenza
massima erogata. Le innovazioni tecniche proposte sulla nuova
vettura sono in realtà ben poche: la "6C 2500" è
davvero figlia della precedente "6C 2300 B". Nello
stesso anno, la versione "Turismo" viene affiancata
dalla "6C 2500 Sport" dotata di un motore in fondo molto
simile a quello precedentemente montato sulla "6C 2300 B
Mille Miglia": la cubatura è sempre di 2443 centimetri cubi
e gli alberi a camme continuano ovviamente ad essere due, ma la
potenza sale a 95 cv. Ma la cavalcata della "6C 2500" in
termini di potenza non è destinata certo a fermarsi. Sempre del
'39 è infatti la "Tipo 256": è questo il nome esatto
con cui riferirsi a quella da molti definita "6C 2500 Super
Sport", un nome - questo - che in realtà è stato oggetto di
discussione perché, pur essendo all'epoca accreditato anche dalla
stessa Alfa Romeo e dall'Alfa Corse, in realtà viene adottato
ufficialmente solo nel 1942 contestualmente all'utilizzo di una
autonoma serie di numerazione dei telai (e solo a partire dal
1946, poi, il nome comparirà ufficialmente nei listini della
Casa). Le "Tipo 256" (i primi due numeri stanno a
indicare la cilindrata, 2500, mentre il 6 finale si riferisce al
numero dei cilindri: il nome venne pensato da Enzo Ferrari) sono
tutte frutto di un profondo lavoro di trasformazione che viene
effettuato sulle "6C 2500 Sport" presso le officine
della Scuderia Ferrari di Modena: il passo è ridotto (dai
3250 mm della "Turismo" e dai 3000 mm della
"Sport" si passa ad un passo di 2700 mm), la potenza del
motore viene incrementata, alcune parti in alluminio del motore
vengono sostituite da parti analoghe ma in elektron, le
carrozzerie vengono realizzate dalla Touring. La vettura così
modificata viene destinata sia ai piloti ufficiali nelle varie
competizioni sia a privati dopo essere stata allestita con
carrozzerie più confortevoli: 2443 centimetri cubi, 2 alberi a
camme, 120 cv. A questo punto, però, i
nuovi ambiziosi
programmi dell'Azienda vengono sconvolti dallo scoppio della
seconda guerra mondiale, il 10 giugno del 1940. L'Alfa deve
riconvertire la produzione alle commesse militari e i suoi
stabilimenti vengono bombardati più volte. Nonostante tutto,
l'Azienda mantiene alto il livello tecnologico. Nel '42, per
esempio, un trimotore italiano "SM75" spinto da motori
Alfa "128", vola per 20 mila chilometri, sino a Tokyo e
ritorno. E anche in campo automobilistico l'Alfa Romeo non getta
certo la spugna. Pure
in tempo di guerra, infatti, l'evoluzione tecnica della "6C
2500" non si arresta: a partire dal 1942, tutte le versioni
vengono dotate di un telaio profondamente modificato attraverso
l'introduzione di una crociera centrale di irrigidimento di
amplissime dimensioni che integra parzialmente anche le traverse.
E sempre nel 1942 viene ufficializzato il nome della "6C 2500
Super Sport", vettura ben diversa dalla "Tipo 256"
del 1939: i cv scendono a 110 e il telaio presenta anche lui la
grande crociera centrale di irrigidimento; invariato invece il
passo, che resta sempre di 2700 mm. Si
va così avanti sino al 1944, quando i
bombardamenti alleati del 14 febbraio, del 13 agosto e soprattutto
del 20 ottobre 1944 riducono ad un ammasso di macerie lo
stabilimento del Portello, il quale è così costretto a cessare
ogni attività.
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La
pace arriva nella primavera seguente, ma i primi mesi di lavoro
sono difficili. Ugo Gobbato, l'uomo che aveva salvato
l'Alfa Romeo dalla requisizione di tutte le materie prime da parte
dei tedeschi, viene accusato di collaborazionismo col fascismo. Assolto per ben
due volte dal tribunale del Comitato di Liberazione Nazionale,
viene assassinato, tre giorni dopo la liberazione di Milano, da
due persone che lo conoscono, armate l'una con un fucile militare,
l'altra con un fucile da caccia, che scendono da una Lancia
Augusta blu e poi fuggono: è il 28 aprile 1945. Alla fine del
maggio 1945, il Comitato di Liberazione Nazionale nomina l'ing.
Pasquale Gallo alla carica di commissario dell'Alfa Romeo. E'
a cavallo tra giugno e luglio 1945 che negli stabilimenti
parzialmente riattivati riprende la produzione. Manca
tutto: officine, materiali, componenti. Non potendo fabbricare
altro, gli ottomila dipendenti del Portello, dopo aver dato una
mano a sgomberare 16.000 metri cubi di macerie, costruiscono
cucine elettriche, mobili metallici, infissi e saracinesche. Ma
tra mille problemi, in quel difficile 1945, si riescono tuttavia
ad assemblare 2 autotelai di "6C 2500 Sport".
L'attività
automobilistica riprende con una certa continuità soltanto nel
1946, facendo gareggiare le "158" salvate dalle macerie
e tornando a costruire le "6C 2500" d'anteguerra tramite
l'utilizzo delle parti rimaste in abbondanza nei magazzini
decentrati e tramite l'aggiornamento dei modelli in pochi
particolari: continuano così ad essere prodotte le "6C 2500
Sport Lungo" (nuova denominazione delle "6C 2500
Turismo"), le "6C 2500 Sport Freccia d'Oro" (nuovo
nome della versione "Sport", caratterizzata da una
modifica dell'autotelaio che vede ora il comando del cambio
collocato sotto al volante e vede anche l'arrivo di una
carrozzeria con ossatura in acciaio saldata al telaio; la potenza
scende da 95 a 90 cv), le "6C 2500 Super Sport" (che nel
1947 ricevono, come anche per le "Sport Lungo", qualche
piccola variazione nell'allestimento delle carrozzerie).
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La
"Freccia d'Oro" riceve nel 1948 qualche piccolo
aggiornamento al frontale: nuovi fari con cristalli dalla forma più
squadrata e non più a filo con la cornice, nuove feritoie
laterali, scudo dotato di modanatura verticale centrale. Ma la
vita commerciale della "6C 2500" è ancora lunga e la
sua continua evoluzione sembra non avere mai fine. Nel 1949,
arrivano la "6C 2500 Turismo Motore Avanzato" e la
"6C 2500 Sport Motore Avanzato", le quali si
caratterizzano per lo spostamento in avanti del motore e del
cambio, spostamento che - con le dovute modifiche del telaio -
consente ora il montaggio anche di più grandi carrozzerie a sei
posti; invariati i motori. Il 1949 si conclude con qualche
modifica estetica anche alla "6C 2500 Sport Freccia
d'Oro": nuovi rostri ai paraurti, fari antinebbia, lunotto
posteriore e vetratura laterale di dimensioni più generose. In
tutti i casi, si tratta di automobili che piacciono tanto ai vip
dell'epoca, affascinati anche dagli innovativi cambi al volante:
da Rita Hayworth a
Tyron Power, da Ranieri di Monaco a re Faruk d'Egitto.
L'allestimento "Super Sport Villa d'Este" (realizzato
nel 1949 dalla carrozzeria milanese Touring che lo deriva dal
normale allestimento "Super Sport"), ne fa la più bella
vettura di quegli anni (deve il nome alla sua partecipazione
all'omonimo concorso d'eleganza per design d'auto del 1949). La
"6C 2500", dunque sembra proprio non voler smettere mai
di affascinare, ma la sua vita commerciale volge comunque al
termine. L'ultima evoluzione di questa vettura è la "6C 2500
Sport Motore Super Sport" (anche denominata "6C 2500
Gran Turismo") del 1950: 2443 centimetri cubi, 2 alberi a
camme, 110 cv. Tre anni dopo, nel 1953, l'ultima "6C
2500" uscirà dalla fabbrica del Portello.
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Tutte
le "6C 2500" sono vetture a 6 cilindri, prestigiose e
veloci, ma sono anche molto costose, costruite quasi
artigianalmente e vendute tutto sommato in poche centinaia di unità.
Con l'avviarsi della ripresa economica del Paese, ciò non è più
sufficiente e, perché l'Alfa Romeo possa sopravvivere, s'impone
il passaggio ad una vera produzione di serie: al Portello, spazi e
manodopera sono infatti largamente eccedenti e occorre quindi
ideare un nuovo modello, moderno e accessibile a un'utenza più
vasta. In realtà, già nel 1945 era stato avviato il progetto di
una vettura completamente nuova denominata "Gazzella" e
caratterizzata dall'adozione di una moderna scocca portante. Nel
mese di settembre del 1947, però, questo progetto era stato
definitivamente abbandonato, ma non era stata abbandonata invece
l'idea dell'adozione di una moderna scocca portante. Nel
frattempo, uomini nuovi sono apparsi sulla scena: l'ingegner
Orazio Satta Puliga, coadiuvato da Giuseppe Busso, Ivo Colucci,
Giampaolo Garcea e Ivo Nicolis. Proprio dal lavoro di questa
squadra nascerà la "1900", che sancirà il definitivo
rilancio della marca, ripartendo con una formula che diventerà
vincente: far convivere le opportunità imprenditoriali con la
vocazione e la mentalità dei progettisti, abituati a ideare sino
a quel momento soltanto vetture di lusso e da corsa. Ciò potendo
soprattutto contare sull'unico vero patrimonio accumulato fino a
quel momento dalla Casa: il valore dei propri uomini e l'orgoglio
del proprio marchio. Nel 1948, la direzione del nuovo
progetto viene affidata all'ingegner Orazio Satta Puliga,
assistito da Giuseppe Busso per la parte meccanica e da Ivo
Colucci per la carrozzeria. Due anni dopo, il 4 maggio del 1950,
fuori del Salone di Torino, l'Alfa Romeo presenta il prototipo
della "1900". Si tratta di una berlina a quattro porte e
cinque posti, la prima vettura del Biscione a carrozzeria
autoportante: non più, quindi, telaio separato dalla carrozzeria,
ma telaio del tipo monoscocca portante in lamiere saldate.
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Per
le sospensioni, Satta conserva l'avantreno a quadrilateri
trasversali con molle elicoidali, rinunciando invece alle ruote
indipendenti posteriori (soluzione complessa, pesante e costosa)
in favore di un assale rigido ideato però con criteri evoluti:
bracci longitudinali, molle a spirale e ammortizzatori alle
estremità; bloccaggio delle spinte trasversali al centro mediante
un'articolazione a braccio triangolare che unisce il differenziale
alla scocca, consentendo solo le oscillazioni verticali. Questo
retrotreno si dimostra efficace, tanto da essere poi adottato su
tutte le Alfa del ventennio successivo. Adotta un motore bialbero
a quattro cilindri in linea di 1884 centimetri cubi con camera di
combustione emisferica, valvole di generose dimensioni (38 mm
all'aspirazione, 34 mm allo scarico) disposte a V di 90°,
raffreddate al sodio (un nucleo di sodio inserito all'interno di
steli placcati in cromo), con sedi in stellite e inserite nella
testata in lega leggera (semplicità ed economia prevalgono invece
nel basamento, che è in ghisa, e nella coppa, che è in lamiera
saldata). Il nuovo motore è certamente più piccolo e semplice
del 2500 a 6 cilindri d'anteguerra ma è progettato per potenze
specifiche e per regimi di rotazione superiori. Il robusto albero
in acciaio forgiato ruota su 5 cuscinetti di banco, anch'essi in
acciaio e rivestiti di rame-iridium. Per mantenere le
sollecitazioni entro limiti compatibili con le tecnologie
correnti, si allarga l'alesaggio e si riduce la corsa secondo un
rapporto di 0,94 (contro lo 0,72 dei 6 cilindri) molto vicino
ormai al rapporto 1 del motore cosiddetto "quadro", con
una velocità media del pistone di 15,27 m/s. Risultato: una
potenza massima di 80 cv a 4800 giri e una velocità di punta di
150 km/h. Poco tempo dopo, parte la produzione della "1900
Ti" (complessivamente prodotta in 612 esemplari), versione
spinta che può essere utilizzata tanto nella normale circolazione
quanto nelle gare della categoria "Turismo
Internazionale": il motore gode dell'adozione di un altro
carburatore doppio corpo, un aumento del rapporto di compressione
(7,7:1 invece di 7,5:1) e di valvole maggiorate (41 mm
all'aspirazione e 36,5 allo scarico), arrivando così alla potenza
massima di 100 cv a 5500 giri/minuto: velocità massima pari a 170
km/h. Arrivano così anche i successi sportivi: dalla vittoria nel
Giro di Sicilia a quelle nel Giro di Francia, fino alle vittorie
del 1953 e 1954 nella Carrera Panamericana. Secondo
un fortunato slogan dell'epoca, la "1900" diventa
"la macchina da famiglia che vince le corse". Nel 1954,
la gamma viene aggiornata con marginali ritocchi di carrozzeria:
nascono così la "1900 Super" (con cilindrata portata a
1975 centimetri cubi grazie all'allargamento dell'alesaggio sino a 84,5 mm,
potenza 90 cv a 5200 giri, velocità 160 km/h) e la "1900 Ti
Super" (rapporto di compressione 8:1, due carburatori a
doppio corpo, 115 cv a 5500 giri, 180 km/h). Anche le "1900
Sprint" - realizzate a partire dal 1951 da carrozzieri
esterni su scocche specifiche (siglate "C", corta, a
causa del passo ridotto di 13 cm per un passo totale di 2,50 m)
fornite dalla Casa e motori di 100 cv - crescono e diventano
"Super Sprint" con lo stesso motore delle "Ti
Super" e in più il cambio a 5 marce: velocità 190 km/h.
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Ne
vengono costruiti circa 20 mila esemplari: la produzione viene
interrotta nel 1958. Con questo modello è stato introdotto nella
storia dell'automobilismo un nuovo concetto di vettura: la berlina
ad alte prestazioni per uso quotidiano. Sulle
piste dei Gran Premi, la "158" (da tutti all'epoca
soprannominata "Alfetta" per le sue dimensioni ridotte)
ha la supremazia assoluta e nel 1950, con Nino Farina, conquista
il primo Campionato del Mondo di Formula 1: sette su sette i Gran
Premi vinti. In realtà, la leggendaria "158" comincia a
vincere già nel 1939: rimasta nascosta durante tutta la guerra,
riappare intatta nel 1946 ricominciando subito a vincere. Motore 8
cilindri in linea sovralimentato, montato dietro l'avantreno verso
il centro del telaio a longheroni tubolari: 1479 centimetri cubi, 350 cv.
Cambio a 4 marce montato sul retrotreno a ruote indipendenti.
Molle a balestra trasversale unica, sia d'avanti che dietro.
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L'anno
dopo, Juan Manuel Fangio vince il secondo Campionato del Mondo di
Formula 1 con l'evoluzione della "158": la
"159", un altro bolide entrato nella leggenda.
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Esteriormente
quasi identica alla "158", la nuova "159"
adotta il più potente motore 1500 mai costruito: 425/450 cavalli
(grazie alla pressione di sovralimentazione cresciuta da 2,5 a 3
kg/cm2), freni idraulici a tamburo potenziati,
sospensione posteriore modificata con ponte De Dion. Velocità di
oltre 300 km/h: Fangio, sul circuito di Pescara, aveva raggiunto i
310,3 km/h, cronometrati su 1 km. Subito
dopo la vittoria del secondo campionato mondiale, l'Alfa si ritira
dai Gran Premi. Continua, invece, a gareggiare nelle competizioni
Sport e presenta la "1900 C52" ("Disco
Volante") in una doppia versione: spider (anno 1952) e coupé
(anno 1953). La "1900 C52", dalla caratteristica forma
lenticolare, con il suo telaio a traliccio e con i suoi 1997 centimetri
cubi e
158 cv di potenza massima, è capace di raggiungere i 225 km/h ma
in realtà non gareggerà mai.
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