T e C N i C a  

  m o t o r e   a l f a   r o m e o   2 . 0   j t s 

 

 

 

Premessa. L'arrivo sul mercato, a metà 2002, della prima leggera ristilizzazione di 156 e Sportwagon, è per l'Alfa Romeo l'occasione per lanciare nei propri listini una nuova tecnologia motoristica, destinata ad avere poi largo seguito. La sigla identificativa di questa tecnologia è "JTS" e la cilindrata scelta per il suo primo debutto è stata la 2000 cc. La sigla JTS sta per "Jet Thrust Stoichiometric" e l'esatta comprensione del suo significato non può che passare per alcune necessarie considerazioni preliminari.

 

I motori "lean-burn" (motori a combustione magra). Innanzitutto, sarà bene ricordare come la miscela aria-carburante nella camera di combustione riesca ad accendersi in modo ottimale solo quando le particelle di aria e di combustibile si trovano uniformemente mescolate tra di loro in una ben precisa proporzione. Tale proporzione rappresenta il cosiddetto "rapporto stechiometrico" (anche detto "lambda=1"), pari a 14,7/1 : per la completa combustione di 1 Kg di benzina, quindi, sono teoricamente necessari 14,7 Kg di aria. Se, a pari quantità d'aria, i contenuti di benzina decrescono, l'accensione diventa sempre più problematica; infatti, in una miscela "magra" (cioè, una miscela con un eccesso d'aria) e perfettamente omogenea, le particelle di combustibile presenti nella camera saranno distanziate tra loro e, nei casi estremi, si arriverà al punto che la fiamma troverà difficoltà a trasferirsi da un nucleo di fuoco all'altro. Questo è il motivo per cui nei motori tradizionali non si può smagrire la carburazione oltre certi limiti, pena il funzionamento irregolare del propulsore e la marcia a singhiozzo dell'auto. Questa regola è stata parzialmente derogata dalla nascita dei motori "lean-burn" (di prevalente sviluppo giapponese), in grado di assicurare combustioni stabili anche con una miscela relativamente magra, cioè con un rapporto aria-carburante anche più alto del rassicurante valore stechiometrico (14,7/1). La messa a punto di tali motori fu la conseguenza delle crisi energetiche degli anni Ottanta e portò ad ottenere moderati risparmi di combustibile (10-15%) quando le vetture marciavano alle basse e medie utilizzazioni di giri motore e di coppie. E' ovvio che nel caso dei motori lean-burn, l'imperativo categorico che animò i progettisti giapponesi fu sempre quello di evitare la dispersione uniforme della benzina nella camera di combustione, studiando soluzioni atte a tenere il più possibile ravvicinati i corpuscoli di combustibile. Ciò allo scopo di realizzare "localmente" (e in prossimità della candela) proporzioni di aria e di benzina prossime al rapporto stechiometrico: un po' come creare tante piccole "isole" (tra loro separate) di miscela a rapporto stechiometrico. Al di fuori di queste zone (o, se preferite, isole), i vapori di benzina erano sempre più rarefatti rispetto all'aria e la loro accensione poteva avvenire solo a seguito dell'avvio della combustione nelle varie "isole" stechiometriche presenti attorno alla candela. Era così nata la cosiddetta "carica stratificata", per realizzare la quale si dovette ricorrere soprattutto a particolari geometrie dei condotti di aspirazione. Ed è proprio da qui che nasce la comune distinzione tra "motori stratificati" (con combustione stratificata) e "motori stechiometrici" (con combustione stechiometrica). Da sottolineare, però, che quando si parla di "motori stratificati", in realtà ci si riferisce a motori che presentano una carica stratificata solo in alcune zone del piano coppia-giri del motore, cioè le zone basse e medie. Infatti, sulla strada, il rendimento dei motori lean-burn era positivo solo se il motore veniva impiegato alle basse e medie utilizzazioni. Ciò accadeva perché non appena l'acceleratore veniva angolato oltre certi valori, le proporzioni della miscela aria-benzina dovevano necessariamente essere riportate ai valori tradizionali: in caso contrario, vi sarebbero stati grossi rischi per l'integrità del motore a causa delle pericolose temperature che, in presenza di miscela magra, si sarebbero raggiunte nella camera di combustione. A tale scopo, si progettavano i condotti di aspirazione in modo tale che all'aria in ingresso al motore fossero impresse turbolenze tali da ridurne la portata: il che, appunto, si traduceva in una perdita di prestazioni nel funzionamento del motore ai regimi alti e medio-alti. Tra l'altro, il sistema di alimentazione di questi motori lean-burn era del tipo tradizionale, cioè con l'iniettore disposto nel collettore di aspirazione: ciò faceva sì che il motore fosse soggetto a criticabili condizioni di funzionamento quali il bagnamento delle pareti dei collettori e conseguenti situazioni di smagrimento e arricchimento della miscela aria/benzina che finivano con l'aumentare le emissioni inquinanti e con il peggiorare i consumi. Proprio allo scopo di risolvere questi ultimi problemi, si decise di ricorrere all'iniezione diretta, spostando la "gettata" del combustibile dal collettore di aspirazione alla camera di combustione.

 

L'iniezione diretta in generale e l'iniezione diretta stratificata. In generale, i vantaggi derivanti dall'impiego dello schema di iniezione diretta sono notevoli. Infatti, la benzina viene spruzzata direttamente nella camera di combustione e ciò raffredda l'aria più di quanto non avvenga nei propulsori tradizionali (in cui, invece, gli abbassamenti di temperatura interessano soprattutto i collettori di aspirazione). La carica entrante si raffredda e, di conseguenza, aumenta la densità dell'aria, con la conseguenza che si incrementa il grado di riempimento del motore e, quindi, si hanno apprezzabili aumenti prestazionali. Inoltre, l'iniezione diretta dà la possibilità di aumentare il rapporto di compressione del motore, in quanto la ridotta temperatura della camera di combustione allontana il rischio di detonazione (cioè, il rischio del cosiddetto "battito in testa"). Tra l'altro, tutto questo si traduce in un incremento della pressione media effettiva del motore pari a circa il 10%, con una conseguente riduzione dei consumi pari a circa il 4-5%. E sempre sul fronte dei consumi di carburante, si può aggiungere che qualche ulteriore vantaggio deriva dalla possibilità di allungare i rapporti del cambio in proporzione all'incremento di coppia ottenuto rispetto ad una corrispondente versione a iniezione indiretta. In definitiva, l'iniezione diretta è in grado di garantire maggiore potenza e minori consumi. In più, la tempestività dell'arrivo del combustibile nella camera di combustione si traduce anche in una maggiore prontezza di risposta del motore. Ma in realtà, l'incremento prestazionale (potenza, coppia e prontezza di risposta) garantito dall'iniezione diretta viene notevolmente attenuato se ad essa viene affiancato l'uso del sistema della carica stratificata (soluzione adottata dai progettisti giapponesi). Infatti, la necessità di imprimere all'aria aspirata dal motore le turbolenze utili a ridurre la portata dell'aria stessa (ed evitare così il grave rischio che lo smagrimento della miscela si protragga anche ai regimi alti e medio-alti) e a irreggimentare i movimenti delle particelle di combustibile, si traduceva in un decremento prestazionale: alla fine, la sensazione di brillantezza dei motori a iniezione diretta stratificata era inferiore a quella dei tradizionali propulsori ad iniezione indiretta stechiometrica.

 

L'anima del 2.0 JTS. Proprio tenendo conto di tutto ciò, i tecnici Alfa decidono di intraprendere una strada differente dai loro omologhi giapponesi, scegliendo di scartare sin dall'inizio l'ipotesi dell'adozione di una iniezione diretta stratificata (la quale avrebbe sì portato ad una riduzione dei consumi ma anche ad un notevole decremento prestazionale in termini di potenza, coppia e prontezza del propulsore) e optando per la messa a punto di una iniezione diretta prevalentemente stechiometrica, cioè funzionante prevalentemente con carica omogenea (nel senso di "non stratificata") e miscele stechiometriche (cioè, miscele con rapporto aria-benzina pari al rapporto stechiometrico: 14,7/1). Ma andiamo per ordine. La cilindrata prescelta per il primo JTS dell'Alfa è sempre la 1970 cc dei precedenti motori Twin Spark 2000 cc impiegati dalla Casa. Per realizzare l'iniezione diretta, i tecnici si trovano costretti a progettare una nuova testa cilindri, nuovi stantuffi, nuovi alberi a camme e un nuovo impianto di scarico, oltre a tanti altri particolari secondari.

 

 

Il risultato è un propulsore che può usufruire di un rapporto di compressione 11,25:1. Anche le fasature della distribuzione sono inedite, sia per quanto riguarda le alzate che per quanto riguarda gli incroci. Ovviamente, però, la principale novità consiste proprio nel sistema di alimentazione. Infatti, nei tradizionali motori ad iniezione indiretta (cosiddetti "PFI", Port-Fuel-Injection), la benzina è spruzzata nel collettore di alimentazione aria: quindi, in questi propulsori il combustibile viene iniettato all'esterno della camera di combustione e le pompe elettriche di alimentazione sono chiamate a fornire una pressione massima di 3,5 bar contro i 100 bar e oltre occorrenti invece per i motori ad iniezione diretta (cosiddetti "GDI", Gasoline Direct Injection), in cui il combustibile viene iniettato direttamente all'interno della camera di combustione. Nell'immagine che segue, è possibile osservare l'iniettore laterale, le quattro valvole, la candela centrale e lo stantuffo del 2.0 JTS.

 

 

L'adozione dell'iniezione diretta stechiometrica permette all'Alfa di migliorare notevolmente le prestazioni del già valido 2.0 Twin Spark, consentendo di raggiungere la potenza massima di 165 cv al regime di 6400 giri/minuto, con un incremento (rispetto al 2.0 TS) del 10% sulle potenze massime: un incremento che, in pratica, si può fare corrispondere ad un aumento di cilindrata di 300 cc circa del motore base. Ma ancora più interessanti sono le prestazioni ai bassi regimi, in quanto il 2.0 JTS è in grado di sviluppare una coppia massima di 201 Nm a soli 3250 giri/minuto contro i 181 Nm del 2000 TS che, tra l'altro, li eroga a 4200 giri/minuto. Ebbene, al momento del debutto, la considerazione che qualche motore di tipo corsaiolo della concorrenza ottiene la prestazione massima a regimi ben superiori ai 7000 giri/minuto porta a classificare questo 2 litri Alfa Romeo come il 4 cilindri aspirato più potente del mondo per la sua potenza specifica massima di 61 Kw per litro di cilindrata ottenuta poco sopra i 6000 giri/minuto. Esaminando da vicino la testa cilindri, è possibile notare come ogni condotto di aspirazione si sviluppi in modo praticamente rettilineo e in modo molto inclinato rispetto ad un piano orizzontale.

 

 

Viene in questo modo ad essere favorito il riempimento del cilindro, con un conseguente riscontro positivo sul rendimento e sulle prestazioni complessive del propulsore.

 

L'iniezione diretta semi-stratificata del 2.0 JTS. Per comprendere a fondo l'ottimo lavoro svolto dai tecnici del Biscione, non si può trascurare un altro importante aspetto del motore 2.0 JTS. Sarà però opportuno fare una fondamentale premessa. Ridurre sino ai limiti di legge le emissioni inquinanti di un motore funzionante con miscele magre e carica stratificata (motori lean-burn) è una questione molto complessa. In tali motori, infatti, la classica marmitta catalitica a tre vie o trivalente (definita in questi due modi perché consente di eliminare tre sostanze inquinanti: CO, HC e NOx) non è in grado di abbattere a sufficienza gli ossidi di azoto (NOx), a causa del fatto che la sua funzionalità diminuisce quando il rapporto aria/benzina si allontana dal rapporto stechiometrico (14,7/1). Il problema della purificazione degli ossidi di azoto dai motori a combustione magra (lean-burn), allora, è stato affrontato dalle case automobilistiche giapponesi (in cui, ricordiamo, il motori lean-burn sono stati inizialmente messi a punto) con l'impiego di marmitte catalitiche (cosiddette "DeNOx") capaci di assorbire anche gli ossidi di azoto (NOx). Tale soluzione non ha creato particolari problemi in Giappone, ma così non è stato né in Europa né in Nord America. Infatti, le benzine qui utilizzate contengono anche zolfo, il quale ha l'effetto di incidere negativamente sulla resa dei catalizzatori DeNOx. La loro efficienza potrebbe essere in realtà ripristinata arricchendo temporaneamente la miscela aria/benzina (mediante un aumento della percentuale di benzina), ma ciò andrebbe inevitabilmente a scapito dei consumi, annullando di fatto i vantaggi dell'adozione della carica stratificata (la quale, appunto, ha come proprio obiettivo non maggiori prestazioni ma minori consumi). Ebbene, come già accennato, il motore Alfa Romeo 2.0 JTS funziona prevalentemente con carica omogenea (nel senso di "non stratificata") e miscele stechiometriche (cioè, miscele con rapporto aria-benzina pari al rapporto stechiometrico: 14,7/1). Ora, se da una parte è vero che proprio questa caratteristica rende possibile ottenere una buona conversione di tutte le sostanze inquinanti (NOx compresi!) anche attraverso le normali marmitte catalitiche trivalenti e senza la necessità di ricorrere alle fin troppo delicate marmitte catalitiche DeNOx, è però altrettanto vero che in sede di messa a punto del propulsore era apparsa chiara la impossibilità (utilizzando i normali catalizzatori trivalenti) di abbattere gli ossidi di azoto (NOx) sino ai bassissimi valori richiesti dalla normativa europea anti-inquinamento Euro4 in vigore dal 2006. Per far fronte a questo problema, si è reso allora necessario ricorrere al ricircolo dei gas di scarico, ottenuto mediante un semplice sistema dal costo praticamente nullo e basato sul rientro (realizzando un incrocio distribuzione di una certa entità) nella camera di combustione di una certa percentuale di gas combusti. Si è così attuata la cosiddetta IGR (Internal Gas Recirculation), ben diversa dalla più famosa e diffusa EGR (External Gas Recirculation). Nel caso della tecnica IGR, il gas viene riciclato in aspirazione prelevandolo dal collettore di scarico. Questa soluzione, però, pur risolvendo il problema delle emissioni di ossidi di azoto (NOx), provoca gravi disturbi sulla regolarità del motore ai bassi regimi perché il gas introdotto in camera dà origine ad una miscela magra che genera mancate accensioni. Ebbene, per eliminare questo problema, anche ai tecnici Alfa non restava che ricorrere alla tecnica della stratificazione, raccogliendo così le molecole di combustibile sparse nella camera e concentrandole nelle vicinanze della candela. Nel caso del 2.0 JTS, la stratificazione è stata ottenuta ritardando l'iniezione del combustibile, il quale viene spruzzato dentro una piccola conca (visibile nell'immagine sotto riportata) che è ricavata sulla testa dello stantuffo e che ha la funzione di deviare la benzina verso la candela.

 

 

Ma è proprio a questo punto che arriva la fondamentale novità del motore 2.0 JTS: l'utilizzazione della tecnica della stratificazione della miscela aria/benzina solo ai bassissimi regimi (cioè, solo al di sotto dei 1500 giri/minuto). Come è possibile osservare nella figura sottostante, infatti, il piano coppia-giri può essere facilmente suddiviso in tre zone: una prima ridottissima zona di miscela stratificata, una seconda vasta zona con alimentazione stechiometrica e, infine, la zona delle massime coppie in cui la miscela viene tenuta ricca.

 

 

Inoltre, va sottolineato che il 2.0 JTS non utilizza dispendiosi quanto delicati sistemi di post-trattamento degli ossidi di azoto e che il ricircolo dei gas di scarico avviene a costo nullo poiché si realizza con un adeguato incrocio degli alberi a camme, ottenuto con lo stesso variatore di fase (lato aspirazione) già parte del precedente motore 2.0 Twin Spark. Per completezza, ricordiamo che la fase stratificata si avvale di un incrocio di 52° e di un rapporto aria/benzina prossimo a 21. Ebbene, il particolarissimo funzionamento dell'Alfa Romeo JTS fa sì che esso non possa essere collocato nella categoria dei motori puramente stechiometrici né (vista la piccola zona di lavoro con miscele magre) in quella dei motori stratificati. Appare quindi coerente la definizione di "motore semi-stratificato".  

 

Conclusioni. Abbiamo accennato alle riduzioni del consumo di carburante conseguenti all'adozione dell'iniezione diretta, riferendoci all'ipotesi di una iniezione diretta di tipo tradizionale, intendendo per "tradizionale" l'iniezione diretta stechiometrica (cioè, lo ricordiamo, funzionante con carica omogenea, nel senso di "non stratificata", e miscele con rapporto aria-benzina pari al rapporto stechiometrico: 14,7/1). Ebbene, all'alto rapporto di compressione adottato nel 2.0 JTS, al ricircolo dei gas di scarico e ai vantaggi del non bagnamento delle pareti dei collettori di alimentazione nei transitori, si aggiungono i piccoli ma non trascurabili vantaggi di consumo che si ottengono nella fase stratificata. In questo contesto, c'è poi da dire che l'Alfa, allo scopo di ottenere ancora più briosità ed elasticità rispetto al già ottimo Twin Spark, ha ritenuto col 2.0 JTS di non dover allungare i rapporti di trasmissione, con l'apprezzabile risultato di un buon 15% di superiorità nella ripresa da 80 a 120 km/h. Un ultimo (ma non per importanza) aspetto che della progettazione di questo nuovo propulsore va sottolineato riguarda le scelte fatte in tema di numero e collocazione dei catalizzatori. E' infatti questo un fattore che incide non poco sulla resa prestazionale complessiva della vettura. L'immagine sottostante raffigura la disposizione scelta per i motori Twin Spark.

 

 

Si notano due pre-catalizzatori collocati nel collettore di scarico appena a valle delle giunzioni 1-4 e 2-3; immediatamente dopo vi sono le due tubazioni finali del collettore che a loro volta confluiscono nel nodo di giunzione finale. Sul condotto finale è poi collocato il catalizzatore principale. Ebbene, nella fase di progetto e messa a punto del 2.0 JTS, i tecnici Alfa hanno mutato lo schema adottato sui motori Twin Spark. Una prima possibile strada era quella di sostituire i due pre-catalizzatori con due catalizzatori di adeguate dimensioni, soluzione che consentiva di eliminare il catalizzatore posizionato sul condotto finale.

 

 

Una seconda strada poteva poi consistere nel far convergere i quattro collettori di scarico in un unico punto in cui era disposto un grosso catalizzatore.

 

 

Questa seconda possibilità è sicuramente la più efficiente sul piano delle emissioni inquinanti (il catalizzatore, infatti, grazie alle minori masse in gioco, riscalda prima e raggiunge più rapidamente la propria temperatura di esercizio) ed è anche il meno costoso (grazie alla semplicità dell'impianto). Tuttavia, l'adozione di questo secondo schema (generalmente conosciuto come "4 in 1") viene subito scartata dall'Alfa Romeo per via del decadimento prestazionale che inevitabilmente una scelta del genere avrebbe comportato: infatti, si sarebbe avuto un non ottimale sfruttamento dell'effetto estrattivo della colonna dei gas combusti, i quali, così, avrebbero teso a ritornare dentro i vari cilindri e a non favorire il riempimento delle camere di combustione. Una soluzione del genere avrebbe potuto essere adottata solo nel caso in cui il punto di unione dei quattro collettori di scarico fosse stato ulteriormente distanziato dalla testa, al fine di impedire alle onde di sovrapressione di giungere ai cilindri quando l'incrocio della distribuzione tiene contemporaneamente aperte le valvole di aspirazione e le valvole di scarico. Ma, problemi di ingombro a parte, l'allontanamento del catalizzatore dalla testa avrebbe compromesso il contenimento delle emissioni inquinanti (a causa del maggior tempo che sarebbe stato necessario al catalizzatore per raggiungere la propria temperatura di esercizio). Alla fine, dunque, la scelta finale è quella di seguire la prima strada, con il collocamento di due catalizzatori ceramici (dal volume totale di 2 litri circa) subito a valle delle giunzioni 1-4 e 2-3.

 

 

In pratica, si tratta dello stesso ottimo schema (conosciuto come "4 in 2 in 1") adottato anche sui Twin Spark, uno schema che rappresenta sempre la scelta ottimale per l'ottenimento delle migliori prestazioni del propulsore nei regimi medio-bassi (a tutto vantaggio di coppia ed elasticità). Ma in più, rispetto ai Twin Spark, il 2.0 JTS può contare su una maggiore permeabilità al passaggio dei gas combusti, grazie alla mancanza del catalizzatore collocato sul condotto finale: al posto di questo catalizzatore, infatti, è stato montato un classico silenziatore dalle contropressioni nettamente inferiori. Nella zona coppia-giri a funzionamento stratificato (cioè, al di sotto dei 1500 giri/minuto), i catalizzatori del JTS svolgono essenzialmente una funzione ossidante degli idrocarburi incombusti (HC) e dell'ossido di carbonio (CO), essendo affidato all'IGR (cioè, il ricircolo dei gas di scarico) il compito di combattere la formazione degli ossidi di azoto (NOx). 

In definitiva, la tecnologia JTS si presenta sin da subito al mercato come una degna erede della gloriosa architettura Twin Spark: una innovazione nel solco della tradizione. E questa è stata l'impressione anche di tutti i partecipanti al Congresso Tecnico tenutosi nell'autunno del 2001 ad Aachen (Germania), l'occasione in cui i tecnici Alfa Romeo presentarono per la prima volta il loro nuovo gioiello. Concludiamo con la scheda tecnica del motore 2.0 JTS.

  • N° cilindri: 4 in linea, 2 alberi controrotanti di equilibratura

  • Posizione: anteriore trasversale

  • Ciclo-tempi: otto, 4

  • Alesaggio e corsa: 83 x 91 mm

  • Cilindrata: 1970 cc

  • Rapporto di compressione: 11,3:1

  • Potenza max: 165 cv (121 Kw)

  • Regime potenza massima: 6400 giri/minuto

  • Coppia max: 206 Nm (21 Kgm)

  • Regime di coppia max: 3250 giri/minuto

  • Carburante richiesto: benzina senza Pb (RON 95)

  • Normativa anti-inquinamento rispettata: Euro 4

  • Interasse cilindri: 90 mm

  • N° supporti albero motore: 5

  • Basamento: in ghisa lamellare

  • Testa cilindri: in alluminio bonificato, con pompa acqua integrata e collettore a geometria variabile in plastica

  • N° valvole per cilindro: 4

  • Posizione valvole: a V (47°)

  • Distribuzione: 2 alberi a camme in testa, con punterie idrauliche e variatore di fase elettroidraulico calettato sull'albero a camme di distribuzione comandato da centralina Bosch

  • Comando distribuzione: cinghia dentata

  • Aspirazione - inizio fase incrociata: 32° prima del Punto Morto Superiore

  • Aspirazione - fine fase incrociata: 27° dopo il Punto Morto Inferiore

  • Aspirazione - inizio fase ritardata: 7° dopo il Punto Morto Superiore

  • Aspirazione - fine fase ritardata: 52° dopo il Punto Morto Inferiore

  • Alzata di controllo: 0,45 mm

  • Inizio scarico: 41° prima del Punto Morto Inferiore

  • Fine scarico: 13° dopo il Punto Morto Superiore

  • Alzata di controllo: 0,45 mm

  • Regolazione gioco valvole: automatica, con punterie idrauliche

  • Tipo di accensione: statica, a controllo elettronico digitale integrata con l'iniezione, sensore di detonazione, con 4 bobine AT alloggiate nella testa, 1 candela per cilindro

  • Ordine di accensione: 1-3-4-2

  • Pompa benzina: elettrica, su motore (returnless), alta pressione

  • Iniezione: elettronica sequenziale fasata MPI Bosch MED 7.1.1, con controllo selettivo della detonazione

  • Filtro aria: a secco, con cartuccia

  • Controllo emissioni: catalizzatori di tipo "cascade" (precatalizzatore + catalizzatore) su primari di scarico + 4 sonde lambda

  • Tipo lubrificazione: forzata con pompa ad ingranaggi, scambiatore acqua/olio

  • Filtro olio: a cartuccia

  • Tipo raffreddamento: a liquido, con circolazione forzata mediante pompa centrifuga e circuito sigillato; radiatore e serbatoio supplementare di espansione

  • Regolazione raffreddamento: con termostato

  • Ventilatore raffreddamento: elettrico, con inserzione regolata dalla centralina di iniezione

  • Curve di potenza (Kw) e coppia (Nm):

 

Materiale tratto da AUTOTECNICA 

 

 

dicembre 2003

 

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