S p E C i a L i  

  a l f e t t a   G T / G T V 

 

 

 

La storia dell'Alfetta GT - GTV cominciò quando era all'apice il successo della Giulia GT. Eravamo nel 1967, anno in cui venne lanciata la 1750 GT Veloce e proprio sulla meccanica di questo modello i vertici della Casa avevano l'intenzione di impostare la coupé Alfa Romeo per gli anni Settanta. Il progetto venne effettivamente varato nel 1968 e il compito di studiare le linee della nuova carrozzeria fu affidato direttamente a Giorgetto Giugiato, che aveva appena fondato la Italdesign. Alla fine degli anni Sessanta, non sfuggiva a nessuno il fatto che il concetto tradizionale di coupé, inteso come vettura sportiva bassa e con un abitacolo capace di accogliere comodamente solo due persone, fosse ormai superato. Le brillanti berline compatte, con pari prestazioni ma con abitabilità, comfort e capacità del vano bagagli ben superiori, stavano velocemente conquistando gli automobilisti più sportivi. Giugiaro quindi ricevette un'istruzione precisa: la nuova coupé Alfa, per dimostrarsi appetibile, avrebbe dovuto avere quattro posti comodi e un capiente bagagliaio; per il resto venne data carta bianca. Le dimensioni "importanti" dell'abitacolo vincolarono fortemente la definizione stilistica che, a questo punto, per scelta dello stilista torinese, andò oltre i canoni tradizionali. Prendendo come riferimento la Giulia GT egli ne mantenne il passo, ma "gonfiò" al massimo il padiglione spostando all'indietro l'equilibrio dei volumi. Nell'immagine che segue, un confronto tra i profili della Giulia GT e dell'Alfetta GT.

 

 

La forte inclinazione del parabrezza e l'accenno di spoiler sulla coda tronca servivano a dare all'insieme più slancio e dinamismo. Sin dai primi schizzi, la nuova GT apparve molto vicina a quella che sarebbe poi stata nella sua forma definitiva. Particolari come i fari a scomparsa o le porte allungate verso la coda vennero presto rimpiazzati da soluzioni più convenzionali; ma uno di essi rimase su tutte le proposte grafiche di Giugiaro e su tutti i prototipi da lui realizzati: il cofano motore che sormontava la cornice inferiore del parabrezza e formava una carenatura per i tergicristallo. Un dettaglio a cui Giugiaro teneva molto e che però sarebbe stato seccamente bocciato dai tecnici Alfa Romeo che non ne compresero né la modernità estetica né la funzione aerodinamica. Tuttavia, nella sua globalità, il progetto Italdesign venne senz'altro preferito a quello sviluppato parallelamente ad Arese, che fu abbandonato alla fine del 1969. A questo punto, Giugiaro aveva esaurito il suo compito e il lavoro passò in mano all'Alfa Romeo. Una serie di cause, fece sì che la nuova coupé Alfa vedesse la luce quasi cinque anni dopo. La principale fu sicuramente il progetto di una nuova meccanica, che sarebbe andata ad equipaggiare la futura Alfetta berlina. Ad Arese si decise che la nuova coupé doveva essere una Alfetta GT, quindi con una impostazione meccanica strettamente derivata da quella della nuova berlina. Il progetto della scocca, uno dei primi sviluppati al computer, venne quindi rivisto in funzione di questo fatto. Nel frattempo, gli stilisti apportarono alcune modifiche alla carrozzeria rispetto al disegno di Giugiaro; sul primo prototipo della Casa, pronto nell'aprile 1970, il parabrezza era meno inclinato e il cofano motore non sormontava più il parabrezza. Nel gennaio 1971 vennero definiti gli interni e nel luglio dello stesso anno apparve il prototipo definitivo; dopodiché iniziò la lunga messa a punto della vettura. Le prove in galleria del vento evidenziarono un Cx di 0,391: un valore tutto sommato elevato, dovuto soprattutto ai particolari sporgenti dell'abbigliamento e alla forma poco omogenea del muso. Le prove su strada portarono all'aggiunta dei due semi-spoiler frontali (adottati per contrastare la portanza del muso in velocità) e alla taratura ottimale delle sospensioni. L' Alfetta GT (tipo 116.10) debuttò ufficialmente nel giugno 1974, in un momento storico sicuramente non favorevole al lancio di auto sportive: guerra del Kippur, crisi energetica, costo della benzina alle stelle, introduzione dei limiti di velocità. Insomma, il clima generale che si respirava in quegli anni penalizzava fortemente soprattutto quelle Case che, come l'Alfa Romeo, avevano listini tutti proiettati verso la brillantezza di guida.

 

 

Giorgetto Giugiaro, nel disegnarla, aveva voluto realizzare una vettura che potesse essere utilizzata anche dalla famiglia e, per questo motivo, decise di adottare il portellone al posto di un più tradizionale cofano per accedere al bagagliaio.

 

 

Per il frontale furono inizialmente elaborate diverse ipotesi, una delle quali prevedeva palpebre a griglia sopra i fanali (sullo stile della Montreal): nel taglio definitivo del cofano erano ancora evidenti, immediatamente sopra i fari, le scanalature derivate dall'eliminazione delle palpebre laterali.

 

 

Il risultato, comunque, fu notevole: ancora oggi questa bella coupé, con il suo muso spiovente e il parabrezza e il lunotto molto inclinati, riesce a trasmettere grinta, velocità, passione, una caratteristica non rara nei modelli del Biscione che spesso sembrano non avvertire il tempo che passa.

 

 

Il pianale era quello dell'Alfetta berlina (con un leggero accorciamento del passo che scendeva da 2510 a 2400 mm) e pure la meccanica manteneva le eccellenti caratteristiche di quest'ultima: anche in questo caso, infatti, si fece ricorso allo schema transaxle (motore anteriore, cambio e differenziale in blocco al retrotreno; anche la frizione era posteriore). Anche in questo caso, inoltre, le sospensioni anteriori erano a quadrilateri e le molle erano a barra di torsione incernierate sul triangolo inferiore; posteriormente vi era un assale rigido De Dion con due bracci convergenti non articolati e un sistema a parallelogramma di Watt per l'ancoraggio trasversale. L'impianto frenante a doppio circuito era a quattro dischi, con quelli posteriori sospesi accanto al gruppo cambio-differenziale. Il propulsore scelto per equipaggiare la nuova sportiva fu lo stesso generoso bialbero 4 cilindri in linea da 1779 cc che veniva montato sull'Alfetta berlina: 122 cv a 5500 giri/minuto con una coppia massima di 17 Kgm a 4400 giri/minuto.

 

 

Questo motore era capace di spingere l'Alfetta GT sino alla velocità massima di 195 Km/h. Gli alfisti dell'epoca rimasero molto perplessi per la scelta compiuta dal Centro Stile di Arese nel disegnare la plancia. In particolare, non fu molto gradita la disposizione della strumentazione, la quale era sostanzialmente suddivisa in due parti. 

 

 

 

D'avanti al pilota, infatti, era alloggiato solo il contagiri, mentre il tachimetro, il manometro della pressione dell'olio e l'indicatore del livello del carburante erano stati sistemati al centro della plancia: se da un lato si trattava di un'impostazione tipicamente corsaiola, dall'altro venne giudicata dalla maggioranza degli alfisti poco pratica e anti-estetica.

 

 

In compenso, il volante e il sedile guida (entrambi regolabili in altezza) consentivano sempre di trovare con facilità la posizione di guida ideale. Nel 1974, Quattroruote effettuò la prova su strada di questa vettura affidandola ai giudizi di Emerson Fittipaldi. Il pilota rimase favorevolmente impressionato dalla sua doppia personalità di vettura quasi da famiglia e di coupé sportiva. Quest'Alfa venne giudicata dal pilota brasiliano neutra o leggermente sottosterzante nelle curve pianeggianti o in salita, con un accenno al sovrasterzo in quelle in discesa a causa del trasferimento di carico verso l'avantreno. Fittipaldi ebbe invece qualche perplessità nel valutare cambio e sterzo: il primo venne all'epoca criticato anche da molti clienti per via dell'escursione troppo lunga della leva e per un livello migliorabile di precisione e manovrabilità, ma c'è  da dire che comunque venne giudicata in modo molto positivo la scalatura dei rapporti; il secondo avrebbe meritato di essere più diretto, un problema che secondo lo stesso Fittipaldi si sarebbe potuto facilmente risolvere montando un volante di diametro inferiore. Ricordiamo, inoltre, che l'Alfetta GT fu anche una delle prime Alfa Romeo con scocca a deformabilità progressiva, progettata secondo criteri di sicurezza, e che per questo motivo risultò subito conforme alle normative statunitensi relative ai crash test. Qualche dettaglio stilistico caratteristico: la mascherina incassata in plastica nera a maglie rettangolari, priva di qualsiasi ornamento; il tappo del serbatoio del carburante protetto da uno sportellino; i gruppi ottici posteriori con cornici cromate. Gamma dei colori disponibili per la carrozzeria: Azzurro Le Mans, Beige Cava, Biancospino, Blu Olandese, Faggio, Giallo Piper, Grigio Indaco, Prugna, Rosso Alfa, Verde Pino, Blu Pervinca, Nero, Beige Chiaro Metallizzato, Grigio Chiaro Metallizzato, Grigio Medio Metallizzato. Nel 1975, la vettura venne rinominata Alfetta GT 1.8 (tipo 116.54): il propulsore era sempre lo stesso 1779 cc, con una potenza però ridotta a 118 cv. Si trattava, comunque, di una versione destinata a restare in listino per poco tempo. Prodotta in 21.947 esemplari fino al 1976, più uno nel 1979, la serie con motore "1800" (Alfetta GT e Alfetta GT 1.8) è oggi rara da trovare in buone condizioni e molto ricercata. La scomparsa dal listino Alfa Romeo della vecchia Giulia GT, che nell'ultima serie era disponibile con motorizzazioni 1300, 1600 e 2000, rese possibile un ampliamento della gamma della nuova coupé. Nel 1976, infatti, l'Alfetta GT 1.8 venne eliminata per lasciare spazio ad una  nuova gamma strutturata in due differenti cilindrate. Arrivarono così l'Alfetta GT 1.6 e l'Alfetta GTV 2000. La denominazione "Alfetta", pur rimanendo ufficialmente nei listini della Casa, di fatto scomparve dalle scritte di identificazione applicate sulle vetture. L' Alfetta GT 1.6 (tipo 116.04) fu equipaggiata con lo stesso propulsore che a partire dal 1975 era stato introdotto anche nella gamma dell'Alfetta berlina: 1570 cc, 109 cv a 5600 giri/minuto, 14.5 Kgm di coppia massima a 4300 giri/minuto.

 

 

Questa nuova versione non presentava esteticamente grosse differenze rispetto alla precedente 1800 cc: sopra la targa posteriore c'era ora la grossa scritta "Alfa Romeo"; i gruppi ottici posteriori avevano perso le cornici cromate; la mascherina, a listelli orizzontali, aveva la sezione centrale a filo della carrozzeria e una serie di feritoie frontali serviva a far "respirare" meglio il motore. L'Alfetta GT con motore 1600, più rara ma meno ricercata della 1800, riscosse un successo limitato e venne prodotta fino al 1980 in soli 16.923 esemplari. L' Alfetta GTV 2000 (tipo 116.36) venne dotata di un propulsore da 1962 cc e 122 cv e beneficiò di sospensioni ulteriormente irrigidite. La "V" di GTV stava ovviamente per Veloce.  

 

 

Anche in questo caso, le modifiche estetiche apportate rispetto alla precedente Alfetta GT 1.8 furono minime: rostri gommati ai paraurti (non presenti neanche sulla 1600 cc) e placche degli sfoghi d'aria triangolari sui montanti posteriori con la vistosa scritta forata "GTV"; come anche sulla 1600 cc, sopra la targa posteriore era stata inserita la scritta "Alfa Romeo".

 

 

Sia sulla 1600 che sulla 2000, poi, la corona del volante era rivestita in finta pelle e il comando del lavavetro non era più a pedale ma collocato sul piantone. Il cruscotto dell'Alfetta GTV 2000 era impreziosito da un fascione in finto legno. 

 

 

Il tappo del serbatoio del carburante, con serratura, era ora a vista e la mascherina si distingueva (rispetto alla vecchia 1800 ma anche alla contemporanea 1600) per i due listelli in metallo lucido. Le ruote d'acciaio, poi, erano di diverso disegno (fori quadrangolari e non più tondi) e vennero anche resi disponibili (a richiesta) i cerchi in lega leggera. I sedili avevano, rispetto alla 1600, disegno identico, mentre diverso era il disegno dei pannelli porta. Previsto a richiesta il rivestimento in velluto. L' Alfetta GT 1.6 e l' Alfetta GTV 2000 restarono in listino sino al 1980. La 2000 cc, però, a partire dal 1978 fu rinominata Alfetta GTV 2000 L (tipo 116.36A), ma a ben guardare non si trattò di una semplice ridenominazione. Infatti, su questa nuova versione era ora montato il motore dell' Alfetta 2000 L: la potenza salì così a 130 cv; gli ammortizzatori posteriori furono tarati in modo più rigido per conferire alla vettura un comportamento più neutro in curva; l'impianto frenante era ora del tutto esente da fading. Inoltre, adesso veniva anche offerto in optional il condizionatore. In termini di velocità di punta, comunque, l'Alfetta GTV 2000 L si collocava agli stessi livelli della prima Alfetta GT da 122 cv: 195 km/h. L'abitacolo poteva essere arricchito con la selleria in pelle: il lavoro veniva eseguito artigianalmente, esemplare per esemplare, dalla ditta Lanzoni di Milano, che operava per conto dell'Alfa Romeo. All'interno, il vano bagagli e la cappelliera vennero rivestiti in moquette e vennero previsti nuovi rivestimenti in panno dei sedili e dei pannelli porta. Da ricordare anche che il parabrezza e il lunotto vennero muniti di guarnizioni e furono fissati al padiglione in modo tradizionale e non più incollati (stesso discorso vale, a partire dal 1978, anche per l'Alfetta GT 1.6). Gamma dei colori disponibili per la carrozzeria: Avorio, Bianco, Blu Olanda, Rosso Alfa, Azzurro Le Mans, Giallo Piper, Prugna, Verde Pino, Beige Chiaro Metallizzato*, Luce Di Bosco Metallizzato*, Blu Pervinca Metallizzato*, Grigio Chiaro Metallizzato* (i colori con asterisco erano disponibili a richiesta). L'Alfetta GTV 2000 e l'Alfetta GTV 2000 L sono in assoluto le coupé Alfetta di maggior successo, grazie ad un eccellente equilibrio tra prestazioni e costi di gestione. La prima venne prodotta sino al 1978 in 31.267 esemplari; la seconda fino al 1980 in 26.108 esemplari. Relativamente meno rare delle sorelle di minor cilindrata, restano comunque difficili da trovare in buono stato e in condizioni originali.

Tutte le versioni citate sino a questo punto si possono, in linea di massima, idealmente catalogare come "prima serie". Ovviamente, non è un raggruppamento completamente corretto, viste le piccole differenze che comunque esistono tra un modello e l'altro. Tuttavia, è necessario al fine di distinguere in modo netto quella che comunemente viene identificata come "seconda serie", serie caratterizzata da una ristilizzazione estetica piuttosto consistente e nella quale rientrano le versioni di cui tratteremo da questo punto in poi.

Alla fine degli anni Settanta, la coupé di Arese era giunta alla piena maturità e al massimo successo nelle vendite. Tuttavia, i vertici aziendali si resero conto che la sua sopravvivenza era legata alla capacità di competere con una concorrenza che, in questa categoria di vetture, puntava su cilindrate e quindi su prestazioni sempre più elevate. Ormai, infatti, la clientela era disposta a "sopportare" la scomodità delle coupé solo se in cambio veniva ripagata con accelerazioni brucianti, accompagnate magari dal sibilo di un sei cilindri. La crisi del petrolio, poi, sembrava lontana e l'ottimismo per il nuovo decennio che stava per iniziare rendeva accettabile anche un consumo di carburante elevato. Era il 1980. La gamma venne rivista nell'estetica e fu questa l'occasione per introdurre anche una versione equipaggiata con lo stesso propulsore V6 2.5 che veniva montato sull'ammiraglia Alfa 6: nel caso dell'Alfetta GT, però, venne abbandonata l'alimentazione a carburatori (presente sull'Alfa 6) in favore dell'iniezione elettronica. Fu anche l'occasione per far uscire di produzione l' Alfetta GT 1.6, essendosi questa rivelata una motorizzazione troppo poco potente per un modello dal carattere sportivo; c' è però da dire che la 1600 cc, pur essendone cessata nel 1980 la produzione, restò in listino ancora per molti mesi allo scopo di eliminare le scorte. Molte le modifiche estetiche che interessarono la seconda serie e che furono comuni ad entrambe le due versioni disponibili: Alfetta GTV 2000 (tipo116.36B) e Alfetta GTV 6 2.5 (tipo 116C). Venne operata una ristilizzazione che, senza intervenire sui lamierati della carrozzeria, ringiovanì l'aspetto globale della vettura, grazie a sostanziali aggiornamenti dei componenti dell'abbigliamento esterno. Frontale, gruppi ottici posteriori in un unico pezzo e placche degli sfoghi dell'aria in plastica nera sui montanti posteriori sono gli elementi utili per distinguere a prima vista una seconda serie da una prima. Di rilievo erano anche i paraurti in plastica nera e molti altri particolari in nero (come l'elemento in plastica che raccorda la parte inferiore della fiancata ai passaruota, i profili dei finestrini e le prese d'aria sul cofano). Vennero quindi eliminate tutte le cromature; gli specchietti retrovisori divennero rettangolari e di dimensioni generose; i cerchi in lega (optional sulla 2000) beneficiarono di un nuovo disegno. All'interno venne introdotta una plancia dallo stile completamente rinnovato che abbandonava la vecchia configurazione a indicatori separati della prima serie in favore di un più convenzionale elemento unico collocato dietro al volante (anch'esso ridisegnato) che aveva la corona in legno sulla GTV 2000 e in pelle sulla GTV 6.

 

 

 

 

L' Alfetta GTV 6 2.5, poi, si distingueva dalla 2000cc per la vistosa protuberanza che caratterizzava il cofano motore allo scopo di consentire l'alloggiamento del nuovo e più ingombrante propulsore.

 

 

 

La versione a 6 cilindri, tra l'altro, si distingueva dalla versione due litri anche per la più generosa gommatura (195/60 HR 15 anziché 185/70 HR 14) e per l'adozione di cerchi in lega leggera di serie. Anche la meccanica era stata ovviamente adattata a sopportare meglio le prestazioni superiori, con modifiche alla frizione (bidisco), alle molle, agli ammortizzatori e ai freni (dischi maggiorati e, all'avantreno, autoventilati). L' Alfetta GTV 6 2.5 era dunque equipaggiata con un propulsore 6 cilindri a V di 60° da 2492 cc capace di erogare una potenza massima di 160 cv a 6000 giri/minuto e una coppia massima di 21.7 Kgm (212.9 Nm) a 4000 giri/minuto.

 

 

Questa versione a 6 cilindri venne provata, contemporaneamente all'Alfetta GTV 2000, da Quattroruote nel 1981 e la vettura fu anche affidata alla valutazione del pilota argentino Carlos Reutemann, all'epoca pilota in F.1 della Williams. La meccanica della seconda serie dell' Alfetta GT rimaneva sostanzialmente immutata rispetto alla serie precedente, ma piccole differenze erano riscontrabili tra le due versioni (2000 cc e 2500 cc). Per esempio, i dischi anteriori dell'impianto frenante della 2000 cc erano quelli della Alfetta berlina 2000 cc, mentre nel caso della GTV 6 2.5 furono installati i dischi ventilati dell'Alfa 6 con pinze semplici (l'Alfa 6, invece, montava pinze doppie). Altre differenze erano riscontrabili nella taratura delle sospensioni e nella geometria dell'avantreno. In ogni caso, la nuova Alfetta GTV 2000 era, rispetto al modello precedente, più rigida in quanto dotata di ammortizzatori, molle e barre antirollio adattate ai nuovi pneumatici (più ribassati rispetto ai precedenti). L'Alfetta GTV 6 2.5, poi, aveva subìto modifiche all'avantreno per compensare il maggior peso del nuovo motore a 6 cilindri: l'angolo di incidenza era inferiore (era stato portato da 3,5° a 2°) allo scopo di alleggerire lo sterzo; inoltre, l'angolo di camber era leggermente negativo (anziché neutro) allo scopo di contrastare la più accentuata tendenza al sottosterzo prodotta dall'accresciuto peso anteriore. Per quanto concerne i propulsori, il bialbero 4 cilindri in linea da 2000cc era praticamente invariato rispetto ai bialbero adottati sulle versioni precedenti (1962 cc, potenza massima 130 cv a 5400 giri/minuto, coppia massima 18.3 kgm a 4000 giri/minuto): la coppia era leggermente maggiore rispetto alla serie precedente, l'erogazione della potenza era più fluida e l'accelerazione più brillante. Ma fu soprattutto il 6 cilindri a V di 60° dell'Alfa 6 ad essere ammodernato per l'occasione. Come già accennato, infatti, l'alimentazione a 6 carburatori utilizzata sull'ammiraglia Alfa 6 venne sostituita con un'alimentazione a iniezione elettronica Bosch L-Jetronic: questa trasformazione venne apportata non con l'intento di ottenere un incremento di potenza (che infatti risultò invariata, 160 cv a 6000 giri/minuto, mentre la coppia diminuì passando dai 22.4 Kgm dell'Alfa 6 ai 21.7 dell'Alfetta GTV 6 2.5), ma allo scopo di migliorare la progressione ai bassi regimi e di ridurre i consumi tramite l'esclusione dell'alimentazione in fase di rilascio. L'Alfetta GTV 2000, nel corso della prova su strada di Quattroruote, raggiunse una velocità di punta di 193,083 Km/h (contro i 190 Km/h raggiunti dalla precedente Alfetta GTV 2000 L del 1978, dotata di spoiler e pneumatici diversi) con un'accelerazione da 0 a 100 km/h in 9,2 secondi. Il chilometro con partenza da fermo venne coperto in 30,8 secondi con una velocità d'uscita di 164,8 km/h. La velocità massima venne raggiunta in quinta marcia. L'Alfetta GTV 6 2.5 raggiunse invece la velocità massima di 209,960 Km/h con un'accelerazione da 0 a 100 Km/h in 8,2 secondi; il chilometro con partenza da fermo venne coperto in 29,4 secondi con una velocità d'uscita pari a 174,0 Km/h. Anche in questo caso, la velocità di punta venne raggiunta in quinta marcia.

 

 

Per quanto attiene al comportamento dinamico, le modifiche ad assetto e pneumatici avevano consentito un nuovo passo avanti nel comportamento su strada della vettura: la stabilità venne giudicata eccellente e in tutte le circostanze la GTV si mostrò a prova d'errore. Anche la tenuta di strada venne giudicata davvero ottima: le variazioni d'assetto si manifestavano sempre in modo progressivo e controllabile. La minore tendenza al rollio, inoltre, aveva migliorato la maneggevolezza complessiva. In curva, le due Alfetta provate mostrarono un comportamento leggermente sottosterzante e tendente a diventare neutro con l'aumentare della velocità. Nella 2500 cc, la maggiore coppia disponibile consentiva di controllare meglio il comportamento del retrotreno con l'effetto che la vettura risultava, rispetto alla 2000 cc, più agile da guidare nel misto. Delle precedenti versioni, invece, era rimasta la tendenza ad avere, nei curvoni veloci, degli ondeggiamenti che si ripercuotevano sullo sterzo; era anche rimasta una certa lentezza a iscriversi nelle curve strette. Sullo sconnesso non furono rilevati problemi particolari, mentre era sul bagnato che occorreva una certa cautela nel caso di guida veloce: ciò a causa dell'elevata inerzia che la vettura manifestava sia nel sottosterzo che nel sovrasterzo. Il cambio suscitò qualche perplessità. Il comando non disponeva di sufficiente precisione e l'escursione della leva venne giudicata eccessiva; inoltre, i giochi della tiranteria producevano e trasmettevano rumorosità. Questi difetti finivano per offuscare le qualità del cambio (innesti e sincronizzazione) che erano comunque apprezzabili. Insomma, si trattava dei difetti tipici di tutte le Alfa realizzate su meccanica Alfetta (vale a dire, tutte le Alfa a ponte De Dion). La frizione a comando idraulico era rapida e abbastanza leggera nella GTV 2000; nella GTV 6 2.5, a causa della coppia più elevata, era stata adottata una frizione a doppio disco che presentava una corsa attiva molto breve, ma che doveva essere premuta a fondo per ottenere il completo disinnesto. Lo sterzo di queste due GTV rimaneva sempre un comando di impostazione prettamente sportiva. Non risultava molto pronto, ma restava molto sensibile anche a velocità elevata e privo di reazioni improvvise. Nel caso della GTV 6 2.5, la riduzione dell'angolo di incidenza rendeva praticamente inavvertibile il maggior peso gravante sull'avantreno: rispetto alla GTV 2000 si notava solamente un ritorno leggermente meno pronto all'uscita delle curve. Come già detto, in quell'occasione Quattroruote volle affidare la nuova Alfetta GTV 6 2.5 ai giudizi di Carlos Alberto Reutemann.

 

 

Le prime sensazioni del pilota argentino non furono entusiasmanti. Oggetto delle sue critiche furono lo stile (la GTV 6 venne giudicata un po' appesantita dai tentativi di modernizzarne la linea), il volante (considerato dal diametro troppo ampio), il livello complessivo di finitura (giudicato migliorabile, in rapporto alla classe della vettura). Progressivamente, però, Reutemann iniziò a prendere confidenza con l'auto. Dapprima cominciò a saggiare tutta l'elasticità del propulsore affrontando anche in quarta le ripide strade del percorso prestabilito; poi iniziò ad affondare in modo sempre più deciso, con una guida concentrata e precisa. Fu in questo modo che il pilota giunse a definire "un gioiello" il V6 che pulsava sotto il cofano. Alcune sue parole: "La prontezza del motore si sente in accelerazione usando il cambio. La GTV è sempre disposta a scattare. Ancora migliore l'elasticità: a 800 giri con la quinta si schiaccia e si riprende con molta facilità; è una marcia che si può mantenere in autostrada e persino in montagna. Il cambio, invece, non mi sembra all'altezza del resto della meccanica. I rapporti sono giusti, però i cambi di marcia sono un po' lenti e imprecisi per una coupé sportiva. Lo sterzo mi piace soprattutto nelle curve veloci, dove non occorre agire molto sul volante per mantenere la giusta linea. Nelle curve strette, invece, non riesco a sentire il comportamento dell'avantreno né a scegliere le traiettorie con la sufficiente precisione. E' uno sterzo abbastanza leggero, considerato il fatto che non è servoassistito; diventa invece faticoso nei percorsi lenti: qui dovrebbe avere maggiore prontezza. Indubbiamente le Alfa Romeo sono auto molto sicure e perdonano gli errori di guida anche quando il pilota sterza in modo non corretto o accelera quando non è il momento adatto. E' un comportamento sicuro e lodevole in una vettura che ha a disposizione tanta potenza. Però la GTV 6 manifesta una certa lentezza nell'inserirsi in curva o meglio, secondo me, ha troppo sottosterzo nelle curve strette. E' evidentemente un comportamento scelto dai tecnici Alfa per rendere più sicura la tenuta per i meno esperti nella guida. Ecco perché nelle curve strette occorrono sforzi per farla girare nel migliore dei modi. L'Alfetta GTV mi piace di più nelle curve medio-veloci dove può far meglio vedere le sue ottime doti di equilibrio tra avantreno e retrotreno. Anche accelerando di colpo, la potenza non si manifesta mai in modo troppo brusco; così il sovrasterzo di potenza è molto graduale e quindi facilmente controllabile." Per quanto riguarda la gamma dei colori, le tinte disponibili furono drasticamente ridotte e, in pratica, ne restarono solo tre: Rosso Alfa, Nero, Grigio Metallizzato. Nel 1981, venne allestita sulla base meccanica dell'Alfetta GTV 2000 una serie limitata di circa 600 esemplari denominata Alfetta GTV Grand Prix, per celebrare la partecipazione dell'Alfa Romeo al Campionato del mondo di Formula 1.

 

 

Un solo colore (Rosso Alfa) e una particolare grafica di identificazione: lungo tutta la fiancata correvano due strisce nere ed entro quella che univa il parafango anteriore al parafango posteriore era riportata la scritta rossa "Grand Prix". Gli interni comprendevano sedili rivestiti in velluto rigato nero e grigio, moquette rossa sul pavimento, volante con corona in pelle e targhetta sulla plancia con numero progressivo. La meccanica, comunque, non presentava alcuna modifica. Nel 1983, ebbe luogo un leggero aggiornamento che, tra l'altro, coincise con la soppressione ufficiale della denominazione "Alfetta". Le nuove GTV 2000 (tipo 116.36C) e GTV6 2.5 (tipo 116CA) disponevano ora di vetri azzurrati di serie; erano poi state aggiunti due profili paracolpi laterali in gomma nera e la parte inferiore dei fianchi era verniciata in grigio scuro per raccordarsi otticamente con i paraurti; le cornici dei finestrini erano ora grigio scuro e i retrovisori in tinta con la carrozzeria. Erano inoltre presenti il parabrezza con antenna radio incorporata, lunotto termico di serie e nuovi sedili anteriori con caratteristiche sportive dotati di appoggiatesta a rete, rivestimenti in velluto grigio o beige a seconda del colore della carrozzeria. Anche l'insonorizzazione dell'abitacolo venne migliorata con una paratia collocata sotto la plancia. Tra gli equipaggiamenti della GTV6 2.5 c'erano i lavafari, gli alzacristalli elettrici e i cerchi in lega, mentre la verniciatura metallizzata si poteva ottenere senza supplemento di prezzo. Si trattava comunque di piccole modifiche: troppo poco per poter parlare di "terza serie". Meccanica completamente invariata. Gamma dei colori: Rosso Alfa, Nero Metallizzato, Grigio Nube Metallizzato, Grigio Chiaro Metallizzato. In questo modo l'Alfetta GT continuò ad essere prodotta sino al 1986, ma essa resterà in listino ancora per alcuni mesi del 1987. Un'ultima scorta di GTV 6 2.5 venne smaltita realizzando una seconda serie speciale siglata anch'essa "Grand Prix", destinata esclusivamente al mercato tedesco. Complessivamente, dal 1974 al 1986, questa bella coupé venne prodotta in quasi 140.000 esemplari. Molto apprezzata all'estero fin dall'inizio, l'Alfetta GT e GTV è stata prodotta in diverse versioni speciali per i mercati esteri. La versione "America" montò da subito un motore di 2 litri con impianto di iniezione Spica, per rispondere alle normative antinquinamento vigenti negli USA. La "GTS" (1600) e la "GTV Strada" (2000), versioni per il mercato britannico, avevano dotazioni particolarmente ricche, con accessori e cromature aggiuntive, ma la meccanica era identica a quella dei modelli di pari cilindrata commercializzati in Italia. Nel 1977, l'Autodelta, su richiesta del distributore tedesco della Casa di Arese, realizzò la "GTV 2.6 V8", che montava il motore della Montreal. 

 

 

 

 

Prodotta in circa 20 esemplari, questa vettura aveva caratteristiche da vera supercar: potenza di 200 cv a 6500 giri/min., accelerazione 0-100 Km/h in 7,5 secondi, velocità massima di 230 Km/h. Infine, per il solo mercato sudafricano, nel biennio 1984-'85 venne allestita la "GTV 3.0 V6" che, tra l'altro, si distingueva per una presa "Naca" ricavata sulla "gobba" del cofano motore.

 

 

Il propulsore aveva una cilindrata portata a 3 litri, alimentazione a carburatori e potenza di 186 cv. Venne prodotta in circa 200 esemplari per ottenere l'omologazione nel Gruppo 1.

Un discorso a parte merita la storia di una versione un po' particolare di Alfetta GT, l' Alfetta GTV 2.0 Turbodelta (tipo 116.36D).

 

 

Nel 1978, l'Autodelta (il reparto sportivo dell'Alfa Romeo, fondato e diretto dall'ingegner Carlo Chiti) realizzò in serie limitata quella che fu la prima vettura (a benzina) di fabbricazione italiana dotata di turbocompressore. Ne saranno realizzati complessivamente circa 200 esemplari, più altrettante Alfetta GTV elaborate "after market" con kit ufficiali. La Casa contava di raggiungere due obiettivi: uno di carattere commerciale, ridare slancio alla gamma delle coupé sportive Alfa Romeo (gamma fortemente penalizzata dalla crisi energetica di alcuni anni prima); un altro di carattere sportivo, rendere possibile l'omologazione delle vettura nel Gruppo 4 per poter gareggiare nei rally (omologazione per la quale era richiesta la soglia minima di 400 esemplari prodotti). Le Alfetta GTV 2000 L (tipo 116.36A), dopo essere state assemblate, venivano prelevate dalla normale produzione e inviate all'Autodelta, dove si provvedeva a sostituire il cofano motore e alcune parti di meccanica con altri componenti già elaborati. In base a ciò è facile capire come sia oggi impossibile risalire ai numeri di telaio delle GTV Turbodelta: la numerazione dei telai delle Turbodelta, infatti, era ricompresa in quella dei telai delle normali GTV 2000 L. L'idea iniziale era probabilmente quella di fornire un vero "kit" da montare presso i concessionari Alfa: questa impostazione di base si poteva anche intuire dal progetto della vettura, in quanto si seguì una via abbastanza inconsueta. Ad essere piuttosto inusuale era la presenza dei carburatori (la GTV Turbodelta era l'unica vettura sovralimentata di serie europea ad utilizzare i carburatori anziché l'iniezione) e, inoltre, il fatto che essi erano "compressi", collegati a valle del gruppo di sovralimentazione. Per garantire il loro regolare funzionamento, essi dovettero essere pressurizzati: tutte le aperture che normalmente erano in comunicazione con l'esterno furono collegate in pressione con il condotto di aspirazione. Risultava quindi evidente l'intenzione dei tecnici Autodelta di lasciare per quanto possibile inalterata la meccanica del propulsore: diverse parti, come per esempio la scatola del filtro dell'aria, erano direttamente derivate da quelle del motore aspirato. Il turbo si trovava alla sinistra del motore, all'estremità del corto collettore di scarico, e l'aria compressa veniva inviata (attraverso il tubo che passava sopra la testa) al cassoncino applicato ai carburatori.

 

 

La pressione massima di sovralimentazione era di 0,7 bar ed era ovviamente regolata da una valvola waste-gate sul condotto di scarico. Il rapporto di compressione passava da 9 del motore aspirato a 7,1. Il turbocompressore (fabbricato dalla KKK) fu completamente modificato per adeguare forma e materiale delle turbine alle necessità del motore a benzina, che lavora ad altissime temperature (intorno ai 1000°). Come già detto sopra, questo turbocompressore era alloggiato a monte dei due carburatori che, oltre ad essere stati pressurizzati,  erano stati dotati anche di nuove guarnizioni, più adatte a sopportare la sovralimentazione e la pressione conseguente. Altre parti modificate nella meccanica dall'Autodelta erano i pistoni, le canne cilindri, le guarnizioni della testa metalliche, il radiatore acqua maggiorato, la pompa benzina elettrica, la frizione rinforzata, gli alberi a camme, l'impianto di scarico, gli ammortizzatori con diversa taratura. Il risultato fu quello di riuscire ad ottenere rispetto al motore di partenza (quello da 130 cv della GTV 2000 L) un incremento di 20 cv, arrivandosi così a 150 cv; ovviamente, si ebbe anche un incremento del valore di coppia motrice, la quale passò da 18 a 23,5 Kgm.

 

 

La velocità massima dichiarata dalla Casa era di 205 Km/h. Ecco qui di seguito le curve di potenza e di coppia della GTV Turbodelta, a confronto con quelle della GTV 2000 aspirata.

 

 

Esteticamente, la GTV Turbodelta si distingueva dalla altre versioni di Alfetta GTV esclusivamente per le striscie multicolori (non rare a quell'epoca) applicate sulle parti basse delle fiancate e per il cofano nero. Nell'abitacolo restava tutto invariato, con la sola aggiunta del manometro della pressione del turbo.

 

 

Una interessante curiosità. Alcune GTV Turbodelta presentavano una modifica a quella porzione di griglia che, nel frontale, ospitava il tipico scudo Alfa Romeo: si trattava di una variazione apportata dagli stessi tecnici Autodelta che "aprivano" la mascherina per migliorare l'afflusso di aria fresca.

 

  

Quattroruote provò su strada l'Alfetta GTV Turbodelta nel 1979. La rivista iniziò subito col constatare come, ad eccezione del cofano nero, il corpo vettura della Turbodelta fosse sostanzialmente invariato rispetto a quello della versione aspirata da cui essa derivava. E venne notato come anche all'interno ci fosse stata solo l'aggiunta del manometro della pressione di sovralimentazione. Era stato un peccato, si sosteneva, perché l'Autodelta avrebbe potuto osare di più. Oggi, però, a più di vent'anni di distanza, possiamo dire che la scelta di non "appesantire" troppo lo stile già molto caratteristico della GTV non fu forse un errore così grande. In quella prova su strada il funzionamento del propulsore venne giudicato semplicemente entusiasmante. 

 

 

Privilegiando la coppia motrice (la quale, rispetto alla versione aspirata era aumentata del 30%, mentre l'incremento di potenza era del 15%), si era riusciti ad ottenere un motore che ai bassi regimi era capace di una progressione straordinaria e che consentiva di marciare anche sotto i 1000 giri in quinta e di riprendere con facilità; era però a partire dai 3000 giri che il turbo mostrava le sue migliori caratteristiche. Tutto ciò significava che anche in città non era affatto difficoltoso mantenere la quinta. Nella medesima prova su strada, la Turbodelta venne messa a confronto con altre due vetture 2000 cc sovralimentate presenti sul mercato: la Porsche "924" (170 cv) e la Saab "900 Turbo" (145 cv). Ebbene, il confronto si rivelò in termini di elasticità favorevole alla vettura del Biscione. Nella ripresa da 30 Km/h, l'Alfa era più veloce delle due concorrenti, infliggendo 1,5 secondi alla Saab e addirittura 7 secondi alla Porsche. Rispetto alla GTV aspirata, poi, la versione sovralimentata guadagnava 2 secondi. Anche nelle prestazioni tipicamente sportive, la Turbodelta si comportò molto bene: venne raggiunta la velocità massima di 203,62 Km/h (in quinta marcia) e l'accelerazione da 0 a 100 Km/h fu effettuata in 8 secondi netti; il chilometro con partenza da fermo venne percorso in 29,12 secondi con una velocità d'uscita pari a 180,0 Km/h: solo 2 secondi in più della 924 che disponeva però di 20 cv in più. Inutile dire come la Saab 900 uscì dal confronto perdente su tutti i fronti. I risultati ottenuti dalle tre vetture dipendevano sia dalle scelte tecniche che dal tipo di rapporti, elementi sempre determinanti per quanto riguarda velocità, accelerazione, consumo. La Porsche, coi suoi 170 cv, era la più potente delle tre, ma si giovava di rapporti molto lunghi: in tal modo, essa risultava veloce (227,84 Km/h) e consumava relativamente poco in autostrada; il rovescio della medaglia, però, consisteva nel fatto che la vettura, con una quinta che consentiva la velocità di 39,7 Km/h a 1000 giri, era fortemente penalizzata nella ripresa: era infatti la più lenta delle tre vetture confrontate. La Saab pagava caro invece il disporre di un cambio a 4 marce, con rapporti corti: la "900", quindi, pur essendo molto elastica, consumava troppo in autostrada senza neanche riuscire a raggiungere velocità adeguate alla potenza a disposizione (145 cv): la velocità di punta era infatti di 187,21 Km/h. L'Alfa, per la sua creatura, aveva preferito curare molto l'elasticità. Benché la sua coppia massima fosse inferiore a quella della Porsche (23,5 Kgm a 3500 giri/minuto contro 25 Kgm a 3500 giri/minuto), i rapporti invariati rispetto a quelli della versione aspirata le consentivano una eccellente ripresa (era la più rapida delle tre vetture confrontate), compromettendola però sia nella velocità massima sia nel consumo in autostrada. Invece, su percorsi misti i consumi erano abbastanza vicini tra loro: in tutte e tre le vetture ci si aggirava intorno ai 15 litri per 100 Km.

 

 

Il comportamento in curva, già d'altissimo livello sull'Alfetta, risultò ulteriormente migliorato su questa particolare Alfetta GTV: l'inserimento venne giudicato eccellente, le derive erano contenute, il passaggio (accelerando in curva) dal sottosterzo al sovrasterzo era graduale e tale da non mettere mai in difficoltà il pilota con improvvise "scodate". Anche il confort venne giudicato di buon livello sia per le caratteristiche delle sospensioni sia perché il rumore del turbo era poco avvertibile: solo sul rilascio si avvertiva il caratteristico sibilo della valvola di sovrapressione. Forse si sarebbe potuto fare di più per quanto riguarda il rollio in curva, ricorrendo ad un assetto dalla taratura più rigida. Per quanto riguarda il cambio, rimaneva la classica manovrabilità difficile dell'Alfetta, soprattutto nell'innesto della prima marcia. Inoltre, con l'aumento della coppia, i rapporti diventavano un po' corti ed era molto facile andare in fuorigiri. In questo senso, una quinta marcia un po' più lunga avrebbe offerto maggiori vantaggi, anche in termini di consumi. Sterzo e freni erano invariati rispetto alle altre GTV all'epoca in produzione. Sotto questo aspetto, Quattroruote si domandava come mai non fossero stati adottati i dischi autoventilati dell'Alfa 6: già sappiamo come sulla GTV 6 2.5 che sarebbe nata da lì a poco questa scelta venne saggiamente compiuta. L'Alfetta GTV 2.0 Turbodelta, che al momento del lancio costava 15.505.000 lire (4 milioni e 700 mila lire in più della GTV 2.0 con motore aspirato) fu disponibile dal 1979 al 1981.

Come già detto, oltre che per motivi commerciali, la GTV Turbodelta venne realizzata anche allo scopo di rendere possibile l'omologazione della vettura nel Gruppo 4 per poter gareggiare nei rally (omologazione per la quale era richiesta la soglia minima di 400 esemplari prodotti). E proprio alla versione di GTV Turbodelta impiegata nelle competizioni vogliamo dedicare uno spazio.

 

 

Già nel 1978, l'Alfetta GTV Gruppo 2 aveva vinto con Pregliasco il titolo Turismo Gruppo 2 nel campionato italiano, sconfiggendo le Opel allora considerate imbattibili. Il debutto sportivo dell' Alfetta GTV Turbodelta Gruppo 4 era stato previsto per l’autunno del 1979 al Giro d'Italia, dove Pregliasco avrebbe dovuto fare coppia con Niki Lauda (all’epoca pilota della Brabham-Alfa di F.1). La vettura da competizione, però, non era ancora pronta (a differenza della versione stradale già commercializzata da diversi mesi) e così a correre fu sempre la vecchia GTV Gruppo 2 (senza Niki Lauda). L'intervallo di tempo precedente all’inizio della stagione rallistica 1980 fu impiegato per continuare il lavoro di sviluppo, lavoro affidato ai collaudatori Autodelta Teodoro Zeccoli e Giorgio Francia (affiancati dal pilota ufficiale Mauro Pregliasco). Rispetto alla versione stradale, la scocca venne completamente alleggerita: si utilizzarono lamierati più sottili e si sia adottarono porte, parafanghi (allargati) e cofani in vetroresina; si intervenne anche sui vetri (laterali e posteriore) che ora erano in lexan; lo scudo Alfa Romeo del frontale venne realizzato in plastica e il cruscotto fu ricostruito in fibra di vetro. Tutto ciò nel tentativo di raggiungere il minimo previsto dalla fiche di omologazione: 900 kg. I tecnici Autodelta arrivarono a 950.

 

 

Le sospensioni riprendevano l’impostazione di serie: all'avantreno vi erano i doppi triangoli (però con bracci in alluminio) e le barre di torsione; al retrotreno trovavamo il ponte De Dion (con diversa altezza del parallelogramma di Watt per abbassare la vettura). Tutte le sospensioni erano montate su snodi metallici. Le ruote erano 8Jx13" per lo sterrato e 8Jx15" per l’asfalto e adottavano i primissimi cerchi scomponibili Speedline già provati sull’Alfetta GTV Gruppo 2. Sull'asfalto venivano montate gomme Pirelli 235/45 VR all'avantreno e 295/35 VR al retroreno; sullo sterrato, invece, venivano utilizzate le 185/70 d'avanti e le 205/70 di dietro.

 

 

I freni erano Lokeed a disco autoventilati anteriori e posteriori; ovviamente, anche in questo caso gli schemi meccanici erano quelli tipici delle Alfa a ponte De Dion coi dischi posteriori sospesi all'uscita del differenziale. Il cambio utilizzava la scatola dell’Alfetta 2000 e gli ingranaggi della 2500 con rapporti ravvicinati. Due le coppie coniche utilizzate: quella di serie e una più corta. Ovviamente si trattava di un cambio in blocco con il differenziale: 5 rapporti + RM con ingranaggi ravvicinati sincronizzati. Veniva anche utilizzato un differenziale ZF autobloccante a lamelle, tarato al 50-75% con molle Belville di precarico. L’Autodelta provò anche vari tipi di cambi a innesti frontali, i quali però non vennero mai utilizzati in gara. Il motore era derivato da quello dell'Alfetta GTV 2000 Turbodelta stradale da 150 cv che, a sua volta derivava dal propulsore dell'Alfetta GTV 2000 L da 130 cv: la pressione di sovralimentazione era stata però portata a 1-1.5 bar. L'esordio avvenne agli inizi di febbraio 1980, al Rally della Costa Brava, in Spagna. La GTV Turbodelta Gruppo 4, con i suoi 270 CV (ma nel corso del tempo si arriverà a toccare anche picchi di 340 cv) erogati a 6000 giri/minuto e la sua coppia massima di 36 Kgm a 5000 giri/minuto, complessivamente non era male: già al debutto, la Turbodelta Gruppo 4 era vicinissima a vetture vincenti come Fiat 131 Abarth, Lancia Stratos e Porsche 911; ciò era dovuto anche all’ottima distribuzione dei pesi, garantita dal motore anteriore e dal cambio posizionato posteriormente, che forniva alla Turbodelta un comportamento molto equilibrato. Era però l'affidabilità a creare parecchi problemi, soprattutto per quanto riguardava lo scambiatore di calore che non funzionava a dovere: proprio a causa di questo inconveniente la potenza disponibile a inizio gara andava poi progressivamente degradando a causa delle elevate temperature di esercizio raggiunte dal motore. Nonostante ciò, in Spagna, Pregliasco riuscì comunque a concludere la gara in terza posizione; l’altro pilota ufficiale Alfa, Maurizio Verini, fu bloccato da un’avaria alla valvola wastegate. Altri problemi per questa Alfa da rally derivavano dall’impianto di alimentazione: il turbo, infatti, esattamente come nella versione stradale, non era abbinato all’iniezione bensì ai carburatori che lavoravano in pressione. Quindi i raccordi in gomma telata (allora non esistevano quelli per l’alta pressione) non garantivano sempre una perfetta tenuta, causando spesso trafilamenti di benzina. Lo stesso turbo diede dei problemi: dopo aver provato a lungo un prototipo della Spica, l’Autodelta scelse anche per la versione da competizione un turbocompressore KKK. Questo era caratterizzato da un notevole ritardo di risposta (il famigerato "turbo-lag") per contrastare il quale, al via delle prove speciali, il pilota era costretto a inserire la prima marcia tenendo la frizione in presa e contemporaneamente doveva tenere ferma la macchina col freno: in questo modo la pressione di sovralimentazione saliva. In curva, invece, si era costretti a frenare con il piede sinistro, mentre contemporaneamente si accelerava con il destro per non fare calare i giri della turbina e non perdere così potenza. A metà della stagione rallistica 1980 la Turbodelta venne aggiornata nella meccanica. Fu installato uno spettacolare cofano motore tutto pieno di gobbe e feritoie: il rigonfiamento principale serviva ad ospitare la presa d'aria per lo scambiatore di calore; le prese e le feritoie avevano ovviamente lo scopo di far entrare aria fresca e di far uscire aria calda.

 

 

 

 

 

Al Rally Targa Florio l’Alfa sfiorò la vittoria: Pregliasco, in lotta serratissima con il leader della gara (Vudafieri su 131 Abarth), uscì di strada proprio a causa della precedente uscita del suo avversario la cui 131 ostruiva il passaggio. Verini si classificò terzo. In Sardegna, però, le due vetture in gara ritornarono ad avere problemi di affidabilità: Pregliasco fu costretto al ritiro; Verini, nonostante problemi di raffreddamento, riuscì a classificarsi comunque al quarto posto e a passare così in testa al campionato italiano. All'Elba, inizialmente, si manifestarono problemi all’impianto di aspirazione. Successivamente Pregliasco riuscì a rimontare sino alla terza posizione, ma durante una prova speciale la sua macchina prese fuoco. Verini avrebbe potuto concludere secondo (e sarebbe così rimasto in testa al campionato italiano) se non si fosse rotto un semiasse. Problemi su problemi, dunque. Tuttavia, un po' per il suo aspetto e un po' per il turbo, la GTV Turbodelta  era diventata la beniamina del pubblico: il suo arrivo in prova speciale era preceduto dal tipico (e affascinante) fischio che si manifestava in fase di rilascio e il pubblico ne restava catturato.

 

 

Il Rally "Quattro Regioni" fu un calvario per la vettura che concluse in settima posizione. AI "Sabbie d'Oro", in Bulgaria, le cose non cambiarono: la Turbodelta di Pregliasco fu costretta al ritiro per un sassolino entrato nella turbina e quella di Verini venne bloccata dalla rottura di un condotto della benzina. Ma proprio quando alla squadra sembrò che la propria vettura avesse toccato il fondo, arrivò il primo e unico successo sportivo. Anche in Romania, al Rally del Danubio, il motore della vettura di Pregliasco sembrava deciso a costringere la Turbodelta ad un altro ritiro. Sembra una barzelletta, ma è tutto vero: per puro caso i meccanici Autodelta sbagliarono strada e, grazie a questo errore, incrociarono Pregliasco in difficoltà proprio dove loro non avrebbero dovuto essere. Ripararono il guasto e la Turbodelta vinse. A Ypres, in Belgio, riprese la tendenza negativa: ci fu un doppio ritiro, con Pregliasco subito in testa ma costretto allo stop per problemi ai freni. In Polonia, il peso della Turbodelta venne ridotto di 100 chili e venne anche installato un nuovo scambiatore di calore, ma proprio quando la vettura era davanti alla Porsche del pilota spagnolo Zanini sopraggiunse un altro problema tecnico: la rottura di un tubo dell'olio fermò Pregliasco quando era in seconda posizione. Al rally di Madeira, fu Verini a fare una grande gara: era in testa davanti alla 131 Abarth di Vudafieri quando un’avaria ai freni lo costrinse dietro alla Fiat. Alla fine si classificò secondo. Al "Liburna", Pregliasco era dapprima al comando. Poi scese in seconda posizione, a un soffio dal fortissimo "Tony". Alla fine venne fermato dalla rottura di un semiasse. Fu in questa poco incoraggiante situazione che si arrivò al Rally di Sanremo, valido per il campionato mondiale. La Turbodelta vinse delle prove speciali davanti a tanti piloti fortissimi e al fuoriclasse tedesco Walter Rhorl, ma anche qui le due Turbodelta si ritirarono: quella di Verini s’incendiò, quella di Pregliasco ebbe un’avaria alla pompa della benzina quando occupava la quarta posizione. Dopo il "Sanremo" sembrava che la squadra rally dell’Autodelta dovesse rafforzarsi per il 1981. Si parlava anche dell’arrivo di Giorgio Pianta, l’allora direttore sportivo dell’Abarth. Invece, dopo il terzo posto di Verini e il quinto di Pregliasco a San Marino, le Turbodelta conclusero la loro carriera con un doppio ritiro al Rally di Monza: Pregliasco, in testa, ruppe il motore e Verini finì fuori strada quando è primo. Poi l’Alfa Romeo, già impegnata a fondo in F.1, diede l'annuncio del proprio ritiro dal rally: la GTV Turbodelta Gruppo 4 concluse così la sua breve e poco fortunata carriera.

 

 

 

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