Alfa Romeo, provincia debole condannata a morire o storia di successo su cui investire? Mai come oggi l'Alfa appare essere messa in discussione. E' allora tempo di provare a tracciare un nuovo punto della situazione.

 

Alfa Romeo, la provincia debole?

E’ curioso notare come la storia (a volte) sappia ripetersi. Sono passati ventiquattro anni e qualche giorno da quando l’Alfa ha iniziato il suo percorso di integrazione nel gruppo Fiat. Percorso di integrazione: per molti un eufemismo, per altri la nuda realtà. Ventiquattro anni e non bastano ancora. Alla fine degli anni Ottanta, per riferirsi all'Alfa Romeo, girava questa espressione in Fiat e sulla stampa: la provincia debole. 

 

Lo era l’Alfa Romeo, con tutto il carico della sua storia, un carico – a dirla tutta – non sempre vantaggioso. Storia e gloria di un marchio, ma anche tensioni sociali (e sindacali) e l’ormai endemica incapacità di rinnovarsi, aziendalmente e tecnicamente. Quella “A” di A.L.F.A., in quel lontano 24 giugno 1910, non era altro che un tecnicismo giuridico, perché, nella vigenza del passato ordinamento commerciale, “anonime” erano denominate quelle che un po' oggi sono, mutatis mutandis, le società per azioni. Ma quel tecnicismo è diventato, col passare degli anni, qualcosa di più. Si deve risalire a Nicola Romeo per ritrovare un uomo che, da solo, incarni la proprietà dell’Alfa Romeo. Dopo di lui, tutto e il contrario di tutto: l’Alfa non ha mai più avuto un vero proprietario. O meglio, giuridicamente sì, ma non nella coscienza comune, all’interno e all’esterno del Portello prima e di Arese poi. Decenni di proprietà statale non si cancellano con poco: sono decenni sedimentati e stratificati per quanto concerne gli aspetti positivi, incancreniti per quanto riguarda gli aspetti deteriori.

 

Poi, all’improvviso, nel 1986 tutto cambia. Adesso una proprietà vera c’era: la Fiat. Alfa Romeo, la provincia debole. Vero: sul finire degli anni Ottanta l’Alfa sembrava immobile. L’ultima vera novità? L’Alfetta del 1972 e l’Alfasud sempre del 1972. Poi il nulla, solo reinterpretazioni sul medesimo tema. Gli anni Novanta hanno segnato il rinnovo completo della gamma. La 164, concepita pensata e collaudata dall’Alfa Romeo dell’IRI-Finmeccanica, aveva aperto la strada alla trazione anteriore e ovviamente la Fiat ha continuato su quella strada già tracciata. Con la prima generazione di Alfa Romeo firmate dalla Fiat (145/146/155/GTV/Spider) tante cose sono finite nell’album dei ricordi. Giusto? Sbagliato? Chi lo sa? Probabilmente, come sempre accade, la verità sta nel giusto mezzo. Sicuramente quelle Alfa erano diverse da quasi tutto quanto l’Alfa Romeo aveva proposto al mercato nei decenni precedenti. Chi si diverte a trasformare le Alfa in un gioco delle percentuali potrà agilmente sbizzarrirsi nel fissare la percentuale di (direbbe Platone) “alfità” di quelle prime nuove Alfa. Ma rimane cosa oggettivamente difficile, perché ciascuno ha una propria idea di cosa l’Alfa Romeo è e, soprattutto, di cosa l’Alfa Romeo dovrebbe essere. Sicuramente erano Alfa Romeo diverse, completamente diverse, coi loro pregi e coi loro difetti, come del resto anche le Alfa precedenti e come anche tutto ciò che di umano c’è al mondo. Io quelle Alfa le ho amate (e le amo ancora), come ho amato (e amo ancora) pure le Alfa del passato. Al pianale Tipo2 (irrigidito e con un autotelaio parzialmente modificato o comunque caratterizzato da regolazioni specifiche per tutta la gamma Alfa Romeo) io sono ormai affezionato e non mi pongo particolari problemi. Ma al di là di questo, quando penso a quelle auto, quando penso a quegli anni, quando penso a quelle prime auto della provincia debole che fino a quel momento era stata l’Alfa Romeo, istintivamente inizia a rotolarmi in testa soprattutto una parola, un concetto: futuro, avvenire, sviluppo. Sì, erano anni in cui si presentava un modello e, mentre lo si lanciava, già se ne attendeva un altro. Insomma, erano gli anni in cui la gamma si rinnovava, erano gli anni in cui finalmente si tornava a investire sul marchio Alfa Romeo.

 

E’ durato per un po’. Poi il giocattolo si è inceppato. I primi dieci anni di questo nuovo secolo sono stati strani per l’Alfa. Dall’altare alla polvere, da marchio prezioso visto dai più come l’unico vero cavallo capace di trainare la Fiat fuori dalle secche (finanziarie e industriali) a marchio additato dall’attuale dirigenza come una palla al piede, pesante e difficile da gestire e persino da capire. Oggi, vadano come vadano le cose, si è arrivati di fronte al bivio: cosa fare dell’Alfa Romeo? Si badi, non cosa fare di Arese, perché su questo c’è già la massima chiarezza. Cosa fare, invece, proprio del marchio Alfa Romeo, oggi emigrato anche fisicamente a Torino. 

 

Marchionne a ruota libera. Euforico per la nuova avventura made in Chrysler, non ha risparmiato parole forti contro l’Alfa Romeo e i suoi uomini, parlando di investimenti eccessivi, di programmi poco credibili, di ambizioni da ridimensionare. A giudicare dai numeri che fa la gamma attuale sul mercato, come dargli torto? Come? In un solo modo: ricordandogli che al timone, tutto sommato, c’è pur sempre lui. E il capitano del Titanic dovrebbe sapere quando arriva il momento di assumersi le proprie responsabilità. A dire il vero, quando ha parlato di investimenti eccessivi, il riferimento di Marchionne era rivolto alla progettazione e industrializzazione della 159, da lui trovata già bella e pronta come una polpetta avvelenata, all’indomani del suo insediamento in Fiat. La 159, costata un miliardo di euro e sicuramente nata male. Molto bella esteticamente quanto poco efficiente nel suo complesso: pesante, ampiamente sottomotorizzata, priva di motori a benzina (con l’eccezione del bel 1750 TBi arrivato però troppo tardi!) dotati di carattere e priva pure di un adeguato sviluppo nei motori a gasolio. Ma anche la 147 vecchia di dieci anni e una Giulietta che, tra ripensamenti e continui reset di progetto, si è fatta attendere troppo a lungo. E poi la Mito, ben riuscita tecnicamente (del resto, considerata l’ottima base di partenza fornita dalla Grande Punto, come aspettarsi diversamente?), ben motorizzata, ben equipaggiata e rifinita, ma sulla cui estetica si sarebbe potuto – forse – lavorare con più convinzione. Eccola qui la gamma Alfa Romeo. Brera e Spider è bene lasciarle perdere: fanno sul mercato numeri davvero risicati e, comunque, può valere per loro tutto quanto può dirsi per la 159.

 

Messa così, vien da pensare che l’Alfa tra un anno chiude. E invece no, non chiude. Vedrete che in realtà il treno ripartirà. Marchionne non mi piace, ma preferisco vedere nelle sue parole più un atteggiamento di maggiore consapevolezza per gli errori fatti negli ultimi 5-7 anni piuttosto che una volontà di mandare il marchio Alfa Romeo a far compagnia ad Autobianchi e Innocenti. Però bisogna ripartire da zero, un po' come già accaduto nel 1986, iniziando effettivamente a mettere i soldi lì dove c’è la concreta possibilità di vederli poi fruttare. Ma quando si parte da zero si deve anche ritrovare la capacità di essere positivamente strabici, rivolgendo un occhio ai passi di oggi e l’altro occhio ai passi da muovere domani e pure dopodomani. Che si scelga una strada, e che poi si trovi il coraggio di percorrerla sino in fondo. Senza se, senza ma, senza forse. Si assegni all’Alfa Romeo una mission precisa e poi la si metta in condizioni di operare nella direzione fissata. Tutto, ma proprio tutto, è meglio di un marchio reinventato ogni quattro anni. Che poi è come dire: ok al blocco degli investimenti sul marchio Alfa Romeo finché non ci si chiarisca le idee su cosa questo marchio vuol far da grande. Ma dopo, quando le idee (qualunque esse siano) diventano chiare, gli investimenti devono ripartire, perché senza soldi non si è mai potuto cantare messa. 

 

Questo vedo nel discorso fatto da Marchionne a Detroit qualche giorno fa: alt, fermi tutti, sediamoci intorno a un tavolo e ragioniamo su cosa fare dell’Alfa Romeo una buona volta per tutte. Macchine a riposo, timone fermo, àncora giù. E' tempo di iniziare a pensare. Dopo arriverà il tempo per agire. Due tempi, ma ciascuno assolutamente inutile senza l’altro. Questo è il punto della situazione, secondo me.

 

“Basta con le storie gloriose usate come alibi, le cavolate come i richiami a Nuvolari. L’Alfa è indubbiamente una storia di successo, ma la storia non implica sopravvivenza. Bisogna essere realisti, mi devono convincere con programmi credibili. Dobbiamo capire dove possiamo tenere testa alla migliore concorrenza internazionale e dove non abbiamo possibilità. E, se necessario, ridimensionare le nostre ambizioni. Sono pronto a investire, ma non in modo scriteriato. Lo abbiamo fatto con la Mito, che oggi ha una posizione solida nel segmento B, tiene bene il confronto coi nostri concorrenti diretti, i tedeschi. E lo stiamo facendo con la Giulietta: vedrete che si inserirà altrettanto bene nel segmento C. Oltre questo, però, bisogna andar cauti: sento favoleggiare di segmenti D ed E, di ammiraglie, di sfidare Bmw serie 5 e 7, e le altre gamme più sofisticate. Con quali prodotti? Con quali prospettive di mercato? Basta con l’accumulare perdite, basta con esperienze come quella della 159. Sa quanto ci è costata? Un miliardo di euro. Non deve più succedere: un miliardo io non lo investo per nulla al mondo.” 

(Sergio Marchionne, Detroit 11/01/2010).

 

by cuorialfisti.com

17/01/2010

 

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